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Hikikomori

Hikikomori, un male da cui uscire

Gli hikikomori, quei giovani che si rinchiudono in casa per stare in disparte dal mondo, sono in aumento anche in Italia. È il caso del Piemonte
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Hikikomori, un male da cui uscire

Gli hikikomori, quei giovani che si rinchiudono in casa per stare in disparte dal mondo, sono in aumento anche in Italia. È il caso del Piemonte
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Hikikomori, un male da cui uscire

Gli hikikomori, quei giovani che si rinchiudono in casa per stare in disparte dal mondo, sono in aumento anche in Italia. È il caso del Piemonte
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Gli hikikomori, quei giovani che si rinchiudono in casa per stare in disparte dal mondo, sono in aumento anche in Italia. È il caso del Piemonte
Non vanno a scuola e non cercano lavoro. Non sono soltanto Neet ma si trovano in una condizione ben peggiore. Stiamo parlando dei cosiddetti hikikomori: il termine, coniato dallo psicologo giapponese Tamaki Saito, significa “stare in disparte”. Si tratta di giovani fra i 14 e i 30 anni (maschi nel 70-90% dei casi) che si rinchiudono nella propria abitazione ed evitano qualsiasi contatto con il mondo esterno, talvolta – nei casi più gravi – anche con gli stessi familiari. Se fino a poco tempo fa potevano apparirci un fenomeno distante, così purtroppo non è più. Nei Paesi più industrializzati (Italia compresa) il numero degli hikikomori continua infatti ad aumentare. Secondo i recenti risultati del questionario sul “ritiro sociale” realizzato dall’Ufficio scolastico regionale del Piemonte, è emerso come in una scuola della regione su tre ci sia almeno un alunno hikikomori o a forte rischio di diventarlo. Ragazzi già ‘invisibili’ in classe e che poi lo diventano veramente, poiché decidono di abbandonare gli studi e rinchiudersi in camera. Questa condizione non è ancora considerata una vera e propria patologia bensì un fenomeno psicosociale, che ha visto aumentare i casi dopo l’arrivo del Covid-19 e il tempo sempre maggiore trascorso nel mondo virtuale. Perché li si è ‘cercati’ nelle scuole piemontesi? Forse per studiare l’influenza dei social, ma la dipendenza da Internet spesso non è la causa del fenomeno, piuttosto ne rappresenta una possibile conseguenza.   di Filippo Messina

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