Il sentire mafioso sopravvive alla mafia, parla Mario Mori
Generale dei Carabinieri protagonista della lotta al terrorismo e alla mafia, Mario Mori è definitivamente uscito dal tritacarne giudiziario dell’ipotizzata trattativa Stato-mafia
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Il sentire mafioso sopravvive alla mafia, parla Mario Mori
Generale dei Carabinieri protagonista della lotta al terrorismo e alla mafia, Mario Mori è definitivamente uscito dal tritacarne giudiziario dell’ipotizzata trattativa Stato-mafia
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Il sentire mafioso sopravvive alla mafia, parla Mario Mori
Generale dei Carabinieri protagonista della lotta al terrorismo e alla mafia, Mario Mori è definitivamente uscito dal tritacarne giudiziario dell’ipotizzata trattativa Stato-mafia
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Generale dei Carabinieri protagonista della lotta al terrorismo e alla mafia, Mario Mori è definitivamente uscito dal tritacarne giudiziario dell’ipotizzata trattativa Stato-mafia
Generale dei Carabinieri già protagonista della lotta al terrorismo e alla mafia, Mario Mori è definitivamente uscito il 27 aprile scorso dal tritacarne giudiziario dell’ipotizzata trattativa fra Stato e mafia. Vicende raccontate in due libri usciti quasi in contemporanea qualche settimana fa: “M. M. Nome in codice UNICO” (scritto con Fabio Ghiberti e uscito per La nave di Teseo) e “La verità sul dossier mafia-appalti. Storia, contenuti, opposizioni all’indagine che avrebbe potuto cambiare l’Italia” (scritto con Giuseppe De Donno e uscito per Piemme). Nel secondo si legge che l’inchiesta mafia-appalti fu artatamente diffusa in anticipo e poi bloccata (mentendo) dal capo della Procura di Palermo. «Il nostro intento era quello di rappresentare fatti di cui, direttamente o indirettamente, eravamo stati protagonisti» ci dice lo stesso Mori. «Non abbiamo espresso giudizi o condanne, ma prospettato le varie vicende lasciando a ciascun lettore la possibilità di valutare secondo le proprie idee. Nessuno a oggi ha avuto da obiettare. Poiché però la Commissione Antimafia ha iniziato la sua attività proprio trattando le vicende che vanno sotto la dizione giornalistica di “mafia e appalti”, riteniamo che anche noi saremo sentiti in merito». Nel primo libro la prefazione di Giovanni Negri evoca un caso Dreyfus italiano: «Nella questione che ci ha riguardato, vengono trattate vicende che hanno dato luogo a procedimenti giudiziari su cui le nostre valutazioni non hanno coinciso con quelle dei responsabili della Procura di Palermo. La Corte di Cassazione ha definitivamente accertato la linearità del nostro agire, rilevando invece un procedere non sempre aderente da parte dei magistrati, sia giudicanti che requirenti» osserva Mori. Nel corso della sua carriera il generale è stato molte cose: ufficiale del controspionaggio all’inizio degli anni Settanta, poi con Carlo Alberto Dalla Chiesa nei Nuclei speciali antiterrorismo, poi fondatore del Ros, poi direttore del Sisde, poi l’uomo che catturò Totò Riina: «L’elemento comune fra tutti questi compiti è stato l’interpretazione della professione, vista da me come attività di tipo marcatamente operativo» ci spiega. «La differenza è sostanzialmente una: nell’attività di polizia giudiziaria vi è la ricerca della prova connessa al delitto e ai suoi autori, nell’intelligence conta soprattutto l’acquisizione della notizia». Mori è in qualche modo ‘figlio d’arte’ e dedica molto spazio al ricordo di suo padre. Ma secondo lui «l’Arma dei Carabinieri opera nella società e giocoforza viene condizionata e si adatta nel tempo ai suoi sviluppi. Se mio padre tornasse in vita, si riconoscerebbe a fatica nell’istituzione a cui aveva appartenuto». Quanto invece ai suoi avversari, il generale preferisce non sbilanciarsi: «Poiché mi considero sotto certi aspetti ancora in attività, non voglio scoprire le mie carte parlando di nemici e avversari. I miei maestri sono stati soprattutto il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e alcuni magistrati di grande spessore umano e professionale». A un certo punto si racconta in dettaglio il «Non ci sto» del presidente Oscar Luigi Scalfaro, anche perché seguito – anni dopo – da un incontro personale: «Di fronte a una vicenda giudiziaria che lo aveva toccato direttamente, Scalfaro ritenne di esprimere pubblicamente la sua posizione. Ne aveva la facoltà. Ma a non tutti i cittadini è concessa analoga possibilità». La tradizionale mafia siciliana sembra essersi ridotta ai minimi termini, mentre sarebbe la ‘ndrangheta calabrese la struttura vincente della criminalità organizzata: «La mafia dei Riina, Provenzano e Bagarella, quella così detta ‘militare’, è praticamente finita» ci conferma Mori. «Resta purtroppo un ‘sentire mafioso’, diffuso ben oltre i confini delle regioni afflitte dal fenomeno, che sotto certi aspetti, proprio per la sua connotazione ‘culturale’, è ancora più difficile da combattere». di Maurizio Stefanini La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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