app-menu Social mobile

Skip to main content
Scarica e leggi gratis su app

La riservatezza nell’epoca della tecnologia

Sono tempi difficili per chi è affezionato alla propria riservatezza con la tecnologia sempre più imperante. Negli USA i procuratori di vari Stati hanno citato in giudizio Google, accusando l’azienda di aver continuato a raccogliere dati di geolocalizzazione degli utenti.
| ,

La riservatezza nell’epoca della tecnologia

Sono tempi difficili per chi è affezionato alla propria riservatezza con la tecnologia sempre più imperante. Negli USA i procuratori di vari Stati hanno citato in giudizio Google, accusando l’azienda di aver continuato a raccogliere dati di geolocalizzazione degli utenti.
| ,

La riservatezza nell’epoca della tecnologia

Sono tempi difficili per chi è affezionato alla propria riservatezza con la tecnologia sempre più imperante. Negli USA i procuratori di vari Stati hanno citato in giudizio Google, accusando l’azienda di aver continuato a raccogliere dati di geolocalizzazione degli utenti.
| ,
| ,
Sono tempi difficili per chi è affezionato alla propria riservatezza con la tecnologia sempre più imperante. Negli USA i procuratori di vari Stati hanno citato in giudizio Google, accusando l’azienda di aver continuato a raccogliere dati di geolocalizzazione degli utenti.
Mala tempora corrono per chi è ancora affezionato alla propria riservatezza in tempi di tecnologia imperante. Perlomeno così pare guardando agli Usa dove i procuratori di vari Stati hanno citato in giudizio Google, accusando l’azienda di aver continuato a raccogliere dati di geolocalizzazione degli utenti – in un periodo di tempo assai lungo, dal 2014 sino ad almeno il 2019 – anche quando quest’ultimi avevano espressamente rifiutato tale pratica. Google si è affrettata a smentire la vicenda, che ha trovato però l’attenzione di varie Procure statunitensi, tra cui quelle di Stati come l’Indiana, il Texas e Washington. Ciascun ricorrente avrebbe chiesto di ingiungere a Google di cessare la pratica di geolocalizzazione e di ottenere il risarcimento dei ricavi oltre ovviamente a una domanda di sanzioni da infliggere alla società. Restando garantisti – non condanniamo nessuno fino a una sentenza di colpevolezza comprovata – la notizia pone comunque una riflessione sulle libertà. Il mezzo, in questo caso la tecnologia di geolocalizzazione, di per sé non è né buono né cattivo. È uno strumento e come tale ogni volta che viene utilizzato richiede semplicemente che vi sia il pieno ed espresso consenso di chi lo utilizza. Su questo, più che affidare ai giudici la sorveglianza, servirebbero elementi di trasparenza e di controllo imposti dagli Stati democratici. Un’utopia? Forse. Ma crediamo sia anche l’unica strada per non finire schiacciati fra controllo tecnologico e rischi di giustizialismo.   di Aldo Smilzo

La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!

Leggi anche

Gli italiani e la passione per gli audiolibri

02 Maggio 2024
Gli italiani amano leggere con le orecchie. Sempre più persone nel nostro Paese hanno una vera e…

Wishew, dove i desideri costano un dollaro

30 Aprile 2024
Nato da una startup giovane e italiana, il social Wishew è approdato in America e promette di re…

Cina, defunti resuscitati con l’intelligenza artificiale

28 Aprile 2024
Ai limiti dell’impossibile e della follia. Accade che in Cina, attraverso l’uso dell’intelligenz…

TikTok e la guerra cognitiva

27 Aprile 2024
Giovedì scorso la cinese ByteDance, società madre della popolare app TikTok, ha volont…

LEGGI GRATIS La Ragione

GUARDA i nostri video

ASCOLTA i nostri podcast

REGISTRATI / ACCEDI