Il ricordo di Tito Stagno, il giornalista che raccontò all’Italia nel 1969 lo storico sbarco sulla luna di Armstrong. Un evento che cambiò “la storia dell’umanità”.
Accompagnò gli italiani sulla Luna, in quella notte ormai lontana che segna ancora oggi un confine netto fra due mondi. Il 20 luglio 1969 l’uomo tagliò un traguardo degno di poche altre conquiste nella sua storia.
La scoperta dell’America, la prima circumnavigazione del globo, il primo volo e il primo essere umano nello spazio. Quel Yuri Gagarin che aveva scioccato gli Stati Uniti, spingendoli a una feroce competizione politica, tecnologica e militare con l’Unione Sovietica. Fino al trionfo di quella notte. Tito Stagno era in studio a Roma, scelto anche per la sua perfetta conoscenza dell’inglese che gli permetteva di ascoltare e tradurre in tempo reale le comunicazioni fra il centro di controllo di Houston e gli astronauti dell’Apollo 11. Uno dei volti storici della Rai, quando essere conduttori, giornalisti, presentatore della tv (superfluo definirla pubblica, c’era solo quella) equivaleva ad acquisire uno status di credibilità e autorevolezza assoluto.
Tanto è vero che il famosissimo battibecco con l’inviato negli Usa Ruggero Orlando – «Ha toccato, ha toccato!», urlò Stagno alle 22.17; «No, non ancora» ribatté Orlando – fece epoca anche perché allora era inconcepibile assistere a una lite in diretta.
Ecco, è su quel mondo che vorremmo richiamare la vostra attenzione e pazienza di lettori, ricordando il grande giornalista scomparso ieri all’età di 91 anni. Tutt’altro che perfetto, ribollente di tensioni nazionali e internazionali, marchiato a fuoco dalla guerra del Vietnam e dai germogli della contestazione, fu anche il mondo che seppe fare della volontà e della fantasia un modello per successi senza tempo.
La Luna fu la conquista di una generazione di tecnici straordinaria, a cui la politica aveva offerto risorse pressoché illimitate. Certo, furono decisivi i già richiamati interessi geostrategici, ma fu lasciata libera di esprimere il proprio talento. Chi comandava, in buona sostanza, capì di non avere alcuna possibilità di influenzare le decisioni pratiche che consentissero il viaggio di andata e ritorno fra la Terra e la Luna, in condizioni di relativa sicurezza. Poterono esprimere il massimo del loro potenziale cervelli di rara finezza e volontà (anche un signore, Wernher von Braun, che aveva lavorato con successo per Adolf Hitler, ma questa è un’altra storia) che vorremmo poter dire comuni ancora oggi.
Basti ricordare due caratteristiche di quei team: l’età media, nel centro di controllo di Houston, era di 27 anni. Ripetiamo, 27 anni: un monito per chi oggi sa solo riempirsi la bocca di giovani, lavoro e futuro. Erano il meglio del meglio, frutto di una competizione spietata, capace di assicurare il necessario sostegno all’equipaggio grazie allo stato dell’arte della nascente tecnologia informatica.
Semplicemente ridicola rispetto a qualsiasi smartphone oggi nelle nostre tasche. Era gente in grado di sviluppare calcoli di incredibile complessità con il regolo matematico, a mano insomma, ma consapevole che solo un rigido lavoro di squadra avrebbe consentito loro di raggiungere l’obiettivo.
Questo era il mondo raccontato da Tito Stagno, già inviato al seguito dello storico viaggio in Italia del presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, nel 1963. Abbiamo avuto il privilegio di sentirlo narrare di quell’incredibile pomeriggio a Napoli, quando la folla sembrava voler trattenere per sempre con sé JFK. Tito Stagno era lì e quasi sessant’anni dopo ci raccontò del sincero stupore e dell’umanissimo piacere del presidente che seppe incarnare il sogno di una nuova era. In quell’oceano di folla impazzita Kennedy non fece una piega, ordinò di lasciar perdere il programma, per potersi godere fino in fondo un amore incondizionato e sorprendente.
Appena cinque mesi dopo la storia avrebbe preso altre tragiche svolte, ma quel giorno rimase, come per sempre resterà il racconto di Tito Stagno della notte di Neil Armstorng, Buzz Aldrin e Michael Collins. Gli uomini che andarono sulla Luna e non vollero i propri nomi sullo stemma della missione. «Lo facciamo per l’umanità», spiegò il comandante Armstrong.
Anche nell’uso della retorica, hanno ancora tanto da insegnarci.
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Tag: biografie
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