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Politica e giustizia, “Lezioni” italiane agli Usa

Agli amici negli Usa consiglieremmo caldamente – per diretta esperienza – di evitare ogni tentazione di uso politico delle sentenze

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Politica e giustizia, “Lezioni” italiane agli Usa

Agli amici negli Usa consiglieremmo caldamente – per diretta esperienza – di evitare ogni tentazione di uso politico delle sentenze

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Politica e giustizia, “Lezioni” italiane agli Usa

Agli amici negli Usa consiglieremmo caldamente – per diretta esperienza – di evitare ogni tentazione di uso politico delle sentenze

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Agli amici negli Usa consiglieremmo caldamente – per diretta esperienza – di evitare ogni tentazione di uso politico delle sentenze

Agli amici americani consiglieremmo caldamente – per diretta esperienza – di evitare ogni tentazione di uso politico delle sentenze. Non per motivazioni di carattere morali o peggio moralistiche, semplicemente perché non funziona. 

Avvelena i pozzi per anni e anni, con conseguenze perduranti e difficilissime da sanare. Siamo andati avanti decenni, nel nostro Paese, cercando di aggredire o difendere una storia politica per via giudiziaria, con l’unico effetto di cristallizzare le rispettive posizioni, inacidire il dibattito, farlo precipitare di livello e violenza verbale, senza che nessuno raggiungesse l’obiettivo prefissato. 

Silvio Berlusconi, in definitiva, ha tratto forza politica e soprattutto elettorale dalla sequenza di processi cui è stato sottoposto. Sia pur osservando dall’altra sponda dell’oceano, sembra che buona parte di questi meccanismi si stiano replicando negli Stati Uniti d’America. L’intera vicenda processuale che ha portato alla condanna di Donald Trump è stata scandita da polemiche, rivendicazioni e accuse che per noi italiani suonano come un clamoroso déjà-vu. 

Da una parte e dall’altra della barricata – fra gli ultras trumpiani e chi vede in lui tutto il peggio possibile – ogni commento era già scritto molto prima dell’inizio del dibattimento, figurarsi della sentenza. Così come l’atteggiarsi a vittima dell’ex presidente e ora candidato alla Casa Bianca nella sfida contro Joe Biden. Come quell’epiteto, “fascista” che ricorda anni di polemiche a suon di comunisti e fascisti da noi.

Altra similitudine sulla quale converrebbe riflettere è quella che abbiamo richiamato in apertura: come in Italia per gran parte della sua parabola politica le vicende giudiziarie non intaccarono la figura di Silvio Berlusconi – infine travolto dalla crisi economica e dal discredito più che dalle sentenze – così una banale lettura dei sondaggi dovrebbe indurre i democratici a usare con estrema cautela l’arma giudiziaria contro il tycoon. 

Quanto ai repubblicani la vicenda – oltre che la stessa candidatura apparsa sin dall’inizio senza rivali – certifica la morte celebrale del partito che fu di Ronald Reagan o anche dello stesso McCain, sconfitto da Barack Obama ma che a ripensarlo oggi appare un marziano rispetto ai contenuti e allo stile trumpiani. 

La politica americana, definitivamente rassegnata a una polarizzazione profondissima e a tratti folle, sembra ormai fatta apposta per soddisfare i palati dei curvaioli. Quelli del “Maga” (Make America Great Again) ma anche del Woke, che ha rinunciato a un confronto di natura politica per scegliere la strada del contrasto antropologico. 

È improbabile che uno stratega delle campagne democratica o repubblicana si prenda la briga di studiare a fondo il fenomeno del rapporto giustizia-politica in Italia ma ne varrebbe proprio la pena…

di Fulvio Giuliani

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