Minaccia atomica
La minaccia atomica russa: molti esperti e alcune intelligence occidentali iniziano a non escludere più che Putin possa compiere quel passo fatale
Minaccia atomica
La minaccia atomica russa: molti esperti e alcune intelligence occidentali iniziano a non escludere più che Putin possa compiere quel passo fatale
Minaccia atomica
La minaccia atomica russa: molti esperti e alcune intelligence occidentali iniziano a non escludere più che Putin possa compiere quel passo fatale
La minaccia atomica russa: molti esperti e alcune intelligence occidentali iniziano a non escludere più che Putin possa compiere quel passo fatale
Chernivtsi – Mentre le Forze armate ucraine avanzano nell’oblast’ di Kharkiv liberando insediamenti come quello di Tykh e respingendo gli occupanti dalle roccaforti nella periferia nordorientale di Vovchansk, quelle russe impiegano per la prima volta le gliding bomb Fab-3000 M-54. Si tratta di vecchi ordigni d’epoca sovietica del peso di tre tonnellate (la cui testata ne contiene 1,2 d’esplosivo) che, dotate di kit Umpc (Unified Planning and Correction Module), vengono sganciate dai loro aerei per poi planare su obiettivi civili come l’ufficio postale n. 1 di Liptsy, preso di mira ieri nella regione di Kharkiv.
Già ampiamente utilizzate dai russi in tonnellaggi minori, le Fab-3000 sono gli ordigni a maggior potenziale esplosivo a disposizione di Mosca prima che nelle sue stanze dei bottoni venga impartito l’ordine di superare l’ultima linea rossa, impiegando quelli nucleari ‘tattici’ (cioè bombe atomiche a ‘ridotto’ potere distruttivo). Sebbene quest’ultimo scenario comporterebbe conseguenze catastrofiche non solo per l’aggredito ma anche per l’aggressore (perché il fallout renderebbe il terreno di battaglia impraticabile anche ai propri soldati e comporterebbe una risposta convenzionale dei partner di Kyiv tale da spazzar via tutti gli obiettivi strategici russi dal territorio ucraino), molti esperti e alcune intelligence occidentali – fra cui quella britannica – iniziano a non escludere più che Putin possa compiere quel passo fatale.
Le ragioni sono diverse. Anzitutto il dittatore russo ha sempre ostentato una certa protervia nel prendersi il rischio di compiere il primo passo. Ai suoi gambit l’Occidente ha sempre corrisposto con una certa latenza, lasciandogli abbastanza margine di manovra da permettergli di portare comunque a casa un risultato (il tempo concessogli per erigere le ‘linee Surovikin’ ne è forse il più delittuoso esempio). I russi hanno fatto esplodere la diga di Nova Kakhovka provocando l’ecocidio intenzionale peggiore della Storia recente, hanno impiegato armi chimiche, preso in ostaggio due centrali nucleari (Chornobyl prima e Zaporizhzhia dopo), violato ogni obbligo sottoscritto all’Onu (inclusi gli accordi per contenere la minaccia nordcoreana) e si sono macchiati dei peggiori crimini contro l’umanità senza ricevere mai un contraccolpo conforme al danno arrecato.
In secondo luogo, come ha sottolineato il capo delle Forze armate ucraine Oleksandr Syrskyj, in caso di ‘sconfitta catastrofica’ Mosca avrebbe già messo in conto l’impiego del nucleare come deus ex machina in grado di capovolgere la situazione. L’ennesima offensiva fallita descritta all’inizio di quest’articolo e le conseguenze del massiccio intervento occidentale per riarmare e proteggere l’Ucraina – oltre alla morsa sempre più stretta delle sanzioni – hanno indotto Putin a umiliarsi chiedendo aiuto al Paese canaglia più povero del mondo per ottenere tonnellate d’armamenti mal funzionanti in cambio di quelle materie prime che sempre più difficilmente riesce a piazzare sul mercato. Putin sa perfettamente che entro il 2025-2026 l’Ucraina disporrà d’armi ricevute e prodotte internamente e d’una flotta di aerei e mezzi terrestri tali da poter sferrare una seria e decisiva controffensiva in stile Nato. «Se gli americani l’hanno fatto a Hiroshima e Nagasaki, perché non possiamo farlo noi nella ‘nostra’ Ucraina?» rappresenterebbe per uno come lui – abituato a ragionare in termini di forza – il definitivo all-in con l’Occidente e lo showdown tanto acclamato da quell’opinione pubblica interna che i suoi falchi fomentano da anni.
Sebbene la Cina abbia sempre scoraggiato ogni tentativo russo di paventare l’impiego dell’atomica, essendo essa stessa una potenza nucleare metterebbe velatamente a frutto tale simile scenario per disanimare ogni tentativo di ‘inutile’ resistenza da parte di Taiwan. Si chiuderebbe così il cerchio d’un disegno malvagio iniziato trent’anni fa, quando l’Ucraina fu indotta – in primis da Mosca – a spogliarsi del proprio deterrente nucleare (e poi di gran parte dell’enormi risorse militari d’epoca sovietica di cui disponeva) per poi essere azzannata.
Come detto, le intelligence occidentali non fanno più mistero di quest’eventualità tanto da aver già avvertito la leadership militare ucraina, suggerendo di preparare la popolazione in tal senso. Se l’impiego di testate nucleari – anche ‘solo’ tattiche – renderebbe tuttavia inabitabili per lungo tempo quei territori così ricchi che Putin intende conquistare, quale altro obiettivo sarebbe per lui utile colpire? Intervistato da Oleksandr Marushchak, l’esperto militare ed ex capo di stato maggiore tenente generale Igor Romanenko spiega che l’area certamente più esposta dell’Ucraina sarebbe in tal senso quella occidentale, perché è da lì che passano le principali vie logistiche con cui essa viene rifornita dai propri alleati. In quell’area, non ancora cannibalizzata dalla bramosia e dalle smanie imperialiste di Putin, si verrebbe a creare in un attimo quella zona grigia – ch’egli ama impropriamente definire ‘sanitaria’ – entro cui la novorossiya teorizzata dall’ideologo del rascismo Aleksandr Dugin (cioè l’Ucraina mutilata rimasta, assoggettata a Mosca) sarebbe al riparo dai missili della Nato.
La coalescenza di tutti i presupposti ventilati in quest’articolo ben si sposa col recente annuncio di Putin circa l’inevitabilità di rivedere la dottrina nucleare russa, adattandola al contesto attuale e al suo inquietante concetto di multipolarismo.
di Giorgio Provinciali
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