Destre, diverse e distanti
Da Orbán che spiazza tutti andando a trovare Zelensky, a Marine Le Pen e fino a Giorgia Meloni. Più che un’Armada la destra appare un insieme di consorterie in lotta fra loro
Destre, diverse e distanti
Da Orbán che spiazza tutti andando a trovare Zelensky, a Marine Le Pen e fino a Giorgia Meloni. Più che un’Armada la destra appare un insieme di consorterie in lotta fra loro
Destre, diverse e distanti
Da Orbán che spiazza tutti andando a trovare Zelensky, a Marine Le Pen e fino a Giorgia Meloni. Più che un’Armada la destra appare un insieme di consorterie in lotta fra loro
Da Orbán che spiazza tutti andando a trovare Zelensky, a Marine Le Pen e fino a Giorgia Meloni. Più che un’Armada la destra appare un insieme di consorterie in lotta fra loro
Beh, però andiamoci piano. È vero che i partiti di destra, anche estrema, hanno colto significativi successi nelle elezioni europee ed è altrettanto evidente che nelle opinioni pubbliche continentali spira un vento che favorisce le pulsioni antisistema e antieuropee volte a cercare agganci ‘amicali’ con Putin. Sono fenomeni che si fronteggiano non con gli anatemi bensì con la politica (ci torniamo dopo) e che destano giustificati allarmi soprattutto quando si ammantano di posizioni antisemite o esplicitamente xenofobe fino al razzismo. Tuttavia, da qui a rappresentare la destra come una sorta di Armada Invencible – in marcia con gli scarponi chiodati (e il passo dell’oca?) verso la cittadella del potere nazionale e continentale, irrefrenabile e destinata a travolgere tutto e tutti – ce ne passa. In primo luogo la destra è plurale almeno quanto la sinistra, con divaricazioni e spaccature che provocano rotture e scissioni, con protagonisti in lotta l’uno contro l’altro (o l’altra) per l’egemonia, con programmi e obiettivi diversi e divaricati, in una condizione cioè che ben difficilmente è capace di fare massa e condizionare sul serio il futuro della Ue. Non a caso, subito dopo la chiusura dei seggi elettorali, nel Parlamento di Strasburgo è cominciata la guerriglia nei gruppi di appartenenza, con Ecr di Meloni scoppiata in quattro fazioni, con l’AfD tedesca che mira a costruire un nuovo contenitore più radicale e con l’immarcescibile Viktor Orbán – uno che da ragazzo si definiva «ingenuo e devoto sostenitore» del regime comunista; che si è laureato con una tesi su Solidarność e ha fondato il suo partito Fidesz su basi liberal-democratiche salvo poi trasformarlo in una forza squisitamente nazionalista – che assume la presidenza di turno della Ue e per prima cosa spiazza tutti andando a trovare Zelensky per guadagnarsi il ruolo di king maker nel rapporto tra Europa e Russia.
Per non parlare di madame Le Pen, trionfatrice nel primo turno delle elezioni francesi e che appare destinata a oscurare la nostra presidente del Consiglio come first lady dei sovranisti pro-Mosca e anti Nato – mentre la Meloni è arruolata sul fronte opposto – potendo contare sull’appoggio (tutt’altro che disinteressato in chiave italiana) di Matteo Salvini. Al dunque, più che un’Armada la destra appare un insieme di consorterie in lotta fra loro, agguerrite e potenti ma prive di una strategia unitaria. Sciagurato sottovalutarla; insensato considerarla un devastante meteorite pronto a schiantarsi e a schiantare Bruxelles.
Piuttosto chi punta a combatterla dovrebbe fare lo sforzo di capire le ragioni del suo successo, svellere le radici che ne innervano il consenso, contrastare con programmi, proposte e azioni il carico di rabbia che induce gli elettori a premiarla. Ossia, come scrivevamo, mettendo in campo una forte iniziativa politica: e chissà se alla von der Leyen e ai suoi sostenitori fischiano le orecchie. Evitando sulfuree sconciatoie. Perché in effetti una strada per compattare la destra e renderla davvero formidabile esiste ed è quella che ha deciso di percorrere l’inquilino dell’Eliseo chiamando a raccolta tutte le forze contrarie in una union sacrée di ciellenistica italiana memoria. Una sorta di grande, indigesta miscellanea che fa numero ma non, appunto, politica (sic!); che mira a tenere insieme gli antisemiti con i pro-Israele, gli amici di Vladimir e Donald con i fan di Biden, i sedicenti liberal-democratici con la sinistra più radicale. Un modello che la Schlein si è affrettata a dire di voler replicare dalle nostre parti, riedizione aggiornata dell’Unione prodiana di infausta memoria.
Forse sarebbe meglio prendere esempio da Starmer, che per trionfare non ha accettato un unanimismo peloso e di facciata ma ha fatto piazza pulita nel Labour degli estremisti e degli antisemiti. Ma c’è la Brexit: e quanto è lontana Londra.
Di Carlo Fusi
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