Vilipendio
La libertà di informazione in Italia ha un problema: autoreferenziale, di qualità, di libera interpretazione di fatti e rischi. La lettera della Meloni all’Ue ne è un esempio
Vilipendio
La libertà di informazione in Italia ha un problema: autoreferenziale, di qualità, di libera interpretazione di fatti e rischi. La lettera della Meloni all’Ue ne è un esempio
Vilipendio
La libertà di informazione in Italia ha un problema: autoreferenziale, di qualità, di libera interpretazione di fatti e rischi. La lettera della Meloni all’Ue ne è un esempio
La libertà di informazione in Italia ha un problema: autoreferenziale, di qualità, di libera interpretazione di fatti e rischi. La lettera della Meloni all’Ue ne è un esempio
L’accaduto è vergognoso, reso ancora più grave da molti commenti. Riprodurre il dialogo fra i genitori e un figlio che si trova in carcere, utilizzarne la fotografia per illustrare l’incivile prodezza. Verrebbe voglia di invocare l’articolo 290 del codice penale, se non fosse che il vilipendio delle istituzioni avviene con la collaborazione delle istituzioni stesse. Ma cominciamo dall’informazione, complice di questo scempio.
In Italia non c’è un problema di libertà dell’informazione, semmai della sua qualità e di come viene interpretata da troppi editori e giornalisti. Ne è dimostrazione anche l’autoreferenziale dibattito sui presunti contenuti di un rapporto europeo che denuncerebbe rischi che non esistono. Ne è dimostrazione perché si tratta di una raccolta di affermazioni e percezioni, senza che possa esserci un indice oggettivo relativo alla libertà di stampa in un Paese che non arresta i giornalisti. Gli indici percettivi sono solo vagamente indicativi e lasciano il tempo che trovano. Inoltre il rapporto Ue è stato diffuso dopo le elezioni, però non solo era noto già prima ma è anche la ripetizione di quanto già evidenziato in passato. Quindi, se si vuole fare buona informazione, non si lancia il titolo sulla libertà minacciata e poi s’incollano le dichiarazioni di chi non ha letto manco il rapporto ma soltanto il titolo che ora commenta: piuttosto si mettono lettori e ascoltatori nella condizione di sapere di cosa esattamente si stia parlando.
La presidente del Consiglio ne ha tratto spunto per una lettera di protesta alla presidente della Commissione europea, ma in quella ha anche affermato che il governo non interferisce con la Rai: nessuna «ingerenza», il che di suo è esilarante. S’ingerisce eccome: lo fa ora, lo ha fatto in passato (sono già stati al governo diverse volte), lo hanno fatto tutti. Semmai si deve riconoscere che quella lottizzazione è inutile relativamente alla costruzione del consenso (perché non sanno fare televisione e nominano persone che cominciano a litigare) e semmai porta sfortuna, perché i lottizzatori perdono le elezioni successive.
Eppure, dopo anni di giustizialismo e stupro dell’idea stessa di giustizia, non immaginavamo di arrivare alla vergogna di intercettare un padre che neanche prova a difendere l’indifendibile figlio, ma prova a fare il padre, prova a dirgli qualche cosa, in una condizione in cui non c’è nulla che possa essere utilmente detto. Lo si è spinto a vergognarsi delle cose che disse, ma è chi le ha diffuse e pubblicate che deve vergognarsi. Come sono vergognosi gli appelli alla pietà per quei genitori, perché a fare pietà è una collettività in cui quel che è successo è potuto accadere. E il problema è nell’esistenza stessa dell’intercettazione, salvo in via subordinata la sua diffusione e, infine, l’infamia di non essersi rifiutati di diffonderla.
Che dei detenuti possano essere intercettati, in cella o nei colloqui, è comprensibile, se esponenti di organizzazioni criminali che proteggono segreti, nascondono bottini, possono avere notizie utili alle indagini che riguardano reati complessi: piazzi le spie e speri abbiano momenti di debolezza. Ma nei confronti di un assassino che ha ammesso il crimine, è stato trovato in fuga, c’è il cadavere, c’è tutto, che diavolo stai cercando? Va solo portato davanti al suo giudice e condannato. Perché è ovvio che sarà condannato, mentre in base a quale specifico reato d’omicidio e con quale pena è, appunto, il tema del processo. In un caso così non si intercetta. Se si intercetta non si trascrive, in ogni caso non si deposita. E se il deposito equivale al comunicato stampa si cambia la legge o si chiude l’ufficio giudiziario per manifesta incapacità ad adempiere ai suoi doveri.
Questo è il problema, non la bava forcaiola o la lacrima per chi si trova sputtanato nell’intimità. Il fatto che non sia percepito come tale dà la misura di quanto si sia imbastardita l’intera Italia e di quanto sia bastarda l’informazione senza essere informati.
di Davide Giacalone
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
-
Tag: giornalismo, società
Leggi anche