35 anni senza Gaetano Scirea
Forse, in un altro luogo e in un altro tempo, la storia del ‘campione al di là dei colori’ Gaetano Scirea avrebbe avuto un finale diverso
35 anni senza Gaetano Scirea
Forse, in un altro luogo e in un altro tempo, la storia del ‘campione al di là dei colori’ Gaetano Scirea avrebbe avuto un finale diverso
35 anni senza Gaetano Scirea
Forse, in un altro luogo e in un altro tempo, la storia del ‘campione al di là dei colori’ Gaetano Scirea avrebbe avuto un finale diverso
Forse, in un altro luogo e in un altro tempo, la storia del ‘campione al di là dei colori’ Gaetano Scirea avrebbe avuto un finale diverso
Questa storia inizia in una modesta casa di Cernusco sul Naviglio, in un anno (il 1953) equidistante sia dal boom economico che sta per arrivare sia dalle macerie della Seconda guerra mondiale. La sua fine si consuma invece a centinaia di chilometri di distanza nella Polonia della fine degli anni Ottanta: una nazione ancora inconsapevole che da lì a pochi mesi verrà giù il Muro e tutto cambierà per sempre.
In mezzo fra queste due estremità c’è la vita di Gaetano Scirea. Terzo di quattro figli di una famiglia dell’hinterland milanese (padre operaio e madre casalinga), il giovane Scirea si fa notare all’inizio degli anni Settanta fra le file dell’Atalanta. È lì che, dall’iniziale posizione di mezz’ala, viene reinventato nel ruolo di libero. Dotato di una intelligenza tattica fuori dal comune e di uno spiccato senso della posizione, il ragazzo di Cernusco ridisegna le caratteristiche del difensore dell’epoca, fornendone un’interpretazione innovativa, paragonabile a quella offerta da Franz Beckenbauer. Ecco perché nel 1974 lo vuole la Juventus. Per lui, abituato ad andare agli allenamenti in autobus, il primo impatto con quel mondo non è semplice. Trova una spalla in un ragazzo friulano di nome Dino Zoff, destinato a divenire l’amico di una vita.
Il primo successo arriva subito, nel 1975, con la vittoria dello scudetto. Un evento al quale è legato un aneddoto che delinea il personaggio. Per festeggiare la vittoria, la squadra trascorre una nottata in discoteca. All’alba, lasciando il locale, Scirea s’imbatte in alcuni operai che stanno andando in fabbrica. Gli torna in mente suo padre e prova così vergogna nel farsi vedere, vestito da sera alle 6 di mattina, da chi va a lavorare veramente. Negli anni successivi, pur vincendo tutto in Italia e in Europa con la Juventus e conquistando il titolo mondiale nel 1982 con la maglia azzurra addosso, Scirea resta fedele alla propria indole. Vive i suoi successi professionali in un costante elogio della normalità, rifuggendo la tendenza sensazionalistica tipica del mondo del calcio. Fino al momento del ritiro, nel 1988, quando anziché partecipare ai festeggiamenti in suo onore se ne va a inaugurare un torneo nell’oratorio dal quale era partito per arrivare sul tetto del mondo.
Appese le scarpe al chiodo, accetta la chiamata dell’amico Zoff, neo allenatore della Juventus che lo vuole come suo vice. È in questa veste che, all’inizio di settembre del 1989, l’ex capitano parte per visionare i polacchi del Gornik Zabrze, prossimi avversari dei bianconeri in Coppa Uefa. Lo staff tecnico non ritiene quel viaggio necessario, ma la società insiste affinché nulla venga lasciato al caso. Il 3 settembre 1989, esattamente trentacinque anni fa, mentre viaggia a bordo di una Fiat 125 P in compagnia di un autista, di un interprete e di un dirigente della squadra locale, Scirea rimane vittima di un violento impatto con un furgone all’altezza della cittadina di Babski. La vettura prende immediatamente fuoco a causa della combustione di quattro taniche di benzina stipate nel bagagliaio, pratica comune nella Polonia di quegli anni a causa dei razionamenti del carburante.
Forse, in un altro luogo e in un altro tempo, la storia del ‘campione al di là dei colori’ avrebbe avuto un finale diverso. Tornano allora alla mente le sue parole, pronunciate nella tragica notte dell’Heysel, quando prese il microfono per tranquillizzare gli animi affermando «…Restate calmi, giochiamo per voi». Lui lo ha fatto davvero. Per tutta una vita.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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