La richiesta dei ragazzi di abolire l’alternanza scuola-lavoro dimostra mette a nudo l’incapacità della scuola e della società.
Anno Domini 2021, ma potrebbe essere il 1977. Almeno a leggere le conclusioni della due giorni degli Stati generali della scuola, a Roma. Occasione per provare a tirare le fila delle proteste studentesche delle ultime settimane e stilare una serie di proposte da sottoporre al ministro della Pubblica istruzione Bianchi. Va detto che i ragazzi il loro l’hanno fatto, mentre non si hanno notizie della Conferenza nazionale della scuola, che il ministro aveva annunciato per novembre. 2021. Colpisce, però, come alcune delle richieste sembrino riemergere dalle proteste di cinquant’anni fa.
È il caso – leggiamo dal documento conclusivo – della «seria revisione della valutazione» (come dare i voti) o dell’«abolizione della lezione frontale» (basta il simbolismo di cattedre e banchi). Siamo certi che le ‘citazioni’ siano involontarie, ma colpisce come i ragazzi digital siano approdati a forme che conoscemmo in piena contestazione. Certamente più in linea con i tempi, la richiesta di uno psicologo in ogni scuola. Su tutto, la richiesta di abolizione dell’alternanza scuola lavoro, per gli studenti simbolo di una forma di sfruttamento che li vuole mano d’opera a basso costo. Una pretesa che denuncia due cose: nessuno è riuscito a spiegar loro l’importanza di cominciare a conoscere il mondo del lavoro il prima possibile e, ancor peggio, l’assoluta incapacità di buona parte della scuola di parlare del lavoro come la più bella opportunità per realizzarsi ed emergere. Una scuola così servirebbe solo ai ricchi e ai mediocri.
Di Giulio Carta
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