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Museo Egizio Torino

Il Museo Egizio di Torino compie 200 anni

Le celebrazioni del Museo Egizio di Torino, il più antico istituto dedicato alla storia della civiltà del Nilo, il più grande al di fuori dell’Egitto

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Il Museo Egizio di Torino compie 200 anni

Le celebrazioni del Museo Egizio di Torino, il più antico istituto dedicato alla storia della civiltà del Nilo, il più grande al di fuori dell’Egitto

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Il Museo Egizio di Torino compie 200 anni

Le celebrazioni del Museo Egizio di Torino, il più antico istituto dedicato alla storia della civiltà del Nilo, il più grande al di fuori dell’Egitto

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Le celebrazioni del Museo Egizio di Torino, il più antico istituto dedicato alla storia della civiltà del Nilo, il più grande al di fuori dell’Egitto

«Per festeggiare 200 anni un giorno solo non poteva bastare». La presidente della fondazione Museo Egizio, Evelina Christillin, apre così le celebrazioni ufficiali per il bicentenario del più antico istituto al mondo dedicato alla civiltà del Nilo. Davanti a lei il capo dello Stato Mattarella, che ha voluto presenziare all’evento culmine dei festeggiamenti.

Ma il viaggio dell’Egizio parte molto prima. Nel 1824 Bernardino Drovetti, divenuto una figura di riferimento della pre-egittologia di inizio XIX secolo, vendette all’allora re di Sardegna, Carlo Felice di Savoia, la sua collezione di antichità. Tutto partì da quegli oggetti: statue, sarcofagi, mummie, vasi, monili. Nei decenni che seguirono nuovi reperti fecero la loro comparsa a Palazzo dei Nobili, divenuta sede della collezione reale. Arrivarono le campagne di scavo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, soprattutto sotto l’illuminata direzione di Ernesto Schiaparelli. Un uomo lungimirante, che non volle sbendare i corpi dei defunti nella speranza che, un giorno, le tecnologie consentissero indagini scientifiche che ne preservassero l’integrità. «Aveva previsto la Tac», scherza Christillin.

Duecento anni dopo la fondazione, il Museo Egizio del 2024 è però chiamato a cambiare. «Conosciamo il passato ancora per sineddoche – dice il direttore Christian Greco, alla guida dell’istituzione dal 2015 – come una rete di singoli frammenti che tentiamo di collegare. Per questo la nostra percezione di quel tempo resta, appunto, una percezione. Che è cambiata, e continuerà a farlo». Proprio per questo il bicentenario è stato soprattutto un momento di ripensamento e rinnovamento. Ha ragione la presidente Christillin: un giorno non basta. E infatti i primi interventi risalgono a un anno fa: il 21 dicembre 2023 viene inaugurata la galleria della scrittura, un nuovo allestimento che ripercorre la lunga evoluzione della lingua egizia e della sua forma testuale, il geroglifico. Da quel momento, Palazzo dei Nobili si è trasformato in un cantiere continuo. A marzo 2024 apre la rinnovata sala dedicata al villaggio operaio di Deir el-Medina, che ospitava i lavoratori addetti alle tombe della Valle dei Re. A maggio sono pronti i nuovi giardini nel cortile centrale, dedicati alla flora della valle del Nilo e alle piante coinvolte nei riti funerari. Ad agosto, dopo otto anni in giro per il mondo, torna a casa il corredo della regina Nefertari, sposa principale del grande faraone Ramesse II.

Infine, a inizio ottobre, viene inaugurata la nuova esposizione permanente “Materia. Forma del tempo”. Dal palco la racconta il curatore, Enrico Ferraris: «In tre sale raccontiamo i principali materiali che ci sono arrivati: legno, terracotta e pietra». L’approccio è del tutto nuovo. Non è l’oggetto in sé a raccontare la sua storia, ma il materiale di cui è composto. I dati, freddi e poco comprensibili ai più, prendono vita per arricchire il quadro parziale che sarcofagi, statue, e vasi (ne sono esposti oltre 5.700!) ci consegnano. Ma, come dice Greco, «il sapere va messo in discussione, ripensato». Di qui la necessità di riorganizzare due degli spazi simbolo dell’Egizio: la “galleria dei re” e il tempio di Ellesiya.

La prima è l’esposizione statuaria che esiste, nella stessa sala e grossomodo con la stessa disposizione, sin dal 1824. Collocata al piano terra, dal 2006 è immersa in una suggestiva penombra. Suggestiva, ma non scientifica. Il curatore del riallestimento, Federico Poole, riassume con una parola il lavoro svolto: «Visibilità». Ecco dunque che i ritratti di pietra di re e divinità cambiano per la prima volta posizione, per ricostruire idealmente un antico spazio templare: «Abbiamo immaginato un percorso, che parte dai grandi cortili e dagli spazi colonnati, per addentrarsi poi nel segreto dei sancta sanctorum». Riaperte dunque le finestre sul cortile, a reintrodurre la luce solare tanto importante per la religione egizia. Le statue, poi, sono state portate (per quanto possibile) ad altezza occhi, così da proiettare il visitatore in un mondo vecchio di 3500 anni.

Il Museo Egizio ha però una particolarità. Per dirla con le parole di Christillin: «Italia ed Egitto sono le nostre due patrie». Palazzo dei Nobili è quindi un ponte attraverso il Mediterraneo. Perché non renderlo anche uno spazio di connessione tra l’umanità del passato e quella del presente, senza alcun filtro? Da questa esigenza nasce la modifica della sala del tempio di Ellesiya. Si tratta di un piccolo santuario scavato, in origine, nella roccia nubiana, alle estreme frontiere meridionali dell’Egitto. Voluto dal faraone Thutmose III attorno al 1450 a.C., è il più antico edificio di questo tipo che ci sia giunto. E rischiava di non esistere più, dato che con la costruzione della grande diga di Assuan negli anni Sessanta sarebbe stato sommerso. Ma l’Italia di allora aiutò il governo del presidente Nasser a spostare i monumenti principali della regione in luoghi sicuri (su tutti, i due templi di Abu Simbel). In segno di riconoscenza, Il Cairo donò a Roma il piccolo tempietto di Ellesiya, che venne tagliato a pezzi, portato a Torino e inaugurato nel 1970. Da allora non è mai stato spostato. Da oggi, con nuovi pannelli illustrativi per aiutare nella lettura dei bassorilievi, apre al pubblico senza necessità di pagare un biglietto, accessibile direttamente dalla strada. Perché l’Egizio, come ricorda il ministro della Cultura Alessandro Giuli, «è un patrimonio dell’Italia per il mondo intero».

Davanti alla platea di ospiti, tra cui il rappresentante del governo egiziano, il ministro del Turismo e delle Antichità Sherif Fathi, ed Emanuele Filiberto di Savoia, in nome della famiglia reale che spese 400 mila lire di allora per dare vita a questa grande realtà, il direttore Christian Greco si lascia andare a una formula per il Museo in lingua egizia, augurandogli altri duecento anni di evoluzione, storia e eccellenza: «Di-Ankh, mi-Ra, djet». «Dotato di vita, come il dio Sole, per sempre». 

di Umberto Cascone

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