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Gio Evan

Gio Evan racconta “Palo Santo”: “Nata di getto davanti a un falò”

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gio Evan sul suo singolo “Palo Santo”, sul futuro e sul suo festival “Evanland”

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Gio Evan racconta “Palo Santo”: “Nata di getto davanti a un falò”

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gio Evan sul suo singolo “Palo Santo”, sul futuro e sul suo festival “Evanland”

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Gio Evan racconta “Palo Santo”: “Nata di getto davanti a un falò”

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gio Evan sul suo singolo “Palo Santo”, sul futuro e sul suo festival “Evanland”

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Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Gio Evan sul suo singolo “Palo Santo”, sul futuro e sul suo festival “Evanland”

Artista poliedrico, scrittore, poeta e filosofo, Gio Evan è indubbiamente tra gli artisti della nuova generazione più particolari e ricercatori. Durante gli anni che vanno dal 2007 al 2015 ha intrapreso un viaggio con la bicicletta che lo ha portato in India, Sudamerica ed Europa. Dopo aver cominciato a studiare e vivere accanto a maestri e sciamani del posto, in Argentina è stato battezzato come “Gio Evan”. Oltre alla scrittura e alla ricerca spirituale, parte del suo percorso è stato dedicato alla musica. E proprio in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo, “Palo Santo”, arrivata dopo due tour entusiastici, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui

Com’è nata “Palo santo”?

La canzone nasce da un mix di nostalgie, di piccoli pensieri malinconici che hanno preso forma quest’estate. A un certo punto, mi sono reso conto che non avevo davvero avuto modo di viaggiare come faccio di solito. Questo perché, dopo un grande tour invernale che era andato benissimo – eravamo tutti gasatissimi – ci siamo detti: “Perché non fare anche un tour estivo?”. E così è stato.

Nel frattempo, però, stavo scrivendo il romanzo, organizzando l’estate, il teatro… Mi sono ritrovato a metà del tour estivo completamente distrutto. Palo Santo è nato proprio in un day off, durante una pausa. Ero con la chitarra, davanti al falò con gli amici. In quel momento mi sono fermato e ho pensato: “È tutto qui?”.

Ho sentito l’urgenza di scrivere qualcosa di getto, ed è nata questa canzone. L’ho improvvisata lì per la prima volta, come un modo per ringraziare gli amici, per celebrare il fatto che, nonostante i mille impegni – il lavoro, i progetti, gli appuntamenti – c’è sempre qualcuno a cui vuoi bene che resta al tuo fianco.

Mi era piaciuta l’immagine del Palo Santo: questo piccolo arnese naturale che utilizzo proprio per purificare le brutte energie. Ho voluto celebrarlo con questa canzone.

Immagino che dai tuoi viaggi arrivi molta dell’ispirazione per le tue canzoni

Beh, in realtà qualsiasi cosa mi capita finisce nelle canzoni. Un po’ perché mi sposto parecchio. Ad esempio, tra una settimana riparto e torno solo a gennaio. È normale che, con la penna sempre “in stiva”, scrivo più quando sono all’estero che in Italia. Questo mi porta ad assorbire tante influenze: non solo culturali, ma anche nuove conoscenze, amicizie, lingue e modi di vivere.

Come diceva Fellini: “Io sono autobiografico anche quando parlo di una sogliola”. È proprio così. Gli autori, i cantautori, gli scrittori, anche quando si dedicano a raccontare altri oggetti o soggetti, finiscono sempre per riportare qualcosa di sé. Alla fine, noi stessi siamo l’unica cosa che conosciamo davvero a fondo.

Di solito come scrivi?

Di solito, per fortuna, tutto funziona in modo un po’ più organizzato e preparato. Però diciamo che mi predispongo io stesso, ogni giorno, alla scrittura e alla lettura. È come un appuntamento fisso: so che ogni giorno devo essere presente, esserci davvero.

Mi predispongo ogni giorno alla scrittura, alla lettura, al pensiero e al silenzio. Anche alla meditazione. Da lì decido come far fluire tutto ciò che nasce. Posso prendere la chitarra o il piano, perché alla fine tutto parte sempre da lì.

Quando entro in studio, suono la chitarra o il piano e cerco di trovare le parole giuste, melodie simpatiche, oppure semplicemente canto per mio figlio o per gli amici, in casa. Sai, quelle cene un po’ da osteria, dove c’è sempre musica e un’atmosfera familiare.

Quando prendi in mano la chitarra, spesso capita che qualcuno, in osteria o in trattoria, ti dica: “Dai, fammi La canzone del sole o qualcosa di Battisti!”. Ma io, pur sapendo suonare, queste cover proprio non le so fare. È sempre stato così. Per questo, negli anni, ho dovuto trovare un’alternativa per accontentare chi me lo chiedeva, e ho iniziato a improvvisare. Ho sviluppato la capacità di inventare parole e melodie al volo, sul momento. Alcune di queste improvvisazioni si rivelano fortunate: mentre le faccio, mi accorgo che c’è del potenziale.

È un po’ la caratteristica di chi viaggia, no? Io, viaggiando tanto, con una chitarra sempre a disposizione, mi sono spesso ritrovato in situazioni uniche. Per tantissimi anni sono stato in mezzo alla strada, in Argentina, in Brasile, con straordinari artisti di strada. Ti guardano e ti dicono: “Dai, unisciti a noi”.

Lì ti accorgi subito di quanto sei una frana rispetto a loro, che suonano flamenco o bossa nova in modo strepitoso. Però è una scuola incredibile. Ti insegnano che l’improvvisazione non è un’opzione, ma una necessità. Se vuoi sopravvivere, è la regola del più forte.

Devi essere in grado di tenere il ritmo, di adattarti al volo, perché la strada cambia continuamente. Passa una signora con una pelliccia? La musica cambia. Passa una ragazza con le bretelle? Cambia di nuovo. Tutto si trasforma, e devi saper ascoltare la strada per capire dove ti sta portando.

Il prossimo anno “Evanland”, il primo Festival internazionale del mondo interiore a cui hai dato vita nel 2022, sarà per la prima volta su due giornate, il 26 e il 27 luglio ad Assisi. Com’è nata l’idea di un Festival?

L’idea è nata circa tre o quattro anni fa. Ricordo che ci stavamo rendendo conto di una cosa importante: le persone che seguivano il nostro percorso – non li chiamerò mai “fan”, per me sono amici – condividevano una caratteristica comune. Alla fine di ogni concerto, presentazione o spettacolo teatrale, mi fermavo a parlare con loro, e quello che emergeva era un filo conduttore: una profonda ricerca spirituale.

Erano persone con un’intelligenza raffinata, tutti alla ricerca di qualcosa di più grande, di risposte, di connessioni. A quel punto ci siamo detti: Ma perché non creare un momento di incontro? Un raduno dove queste persone buone, come le chiamo io, possano ritrovarsi per condividere emozioni, piangere, ridere e aprirsi davvero, lontano da quella falsità emotiva che la società sembra volerci imporre?

Così è nato il festival, un luogo dove unire tutto ciò che amo e pratico: costellazioni familiari, Reiki, meditazione, Ashtanga, Yoga Nidra, lettura degli occhi, fotografia Kirlian e altro ancora. L’idea era di passare l’intera giornata insieme, fino a concludere con i concerti, il teatro, le chiacchiere e la musica, che restano il nostro mestiere.

Quest’anno, nel 2025, il festival sta crescendo, e ne sono grato. Viaggiando tanto, mi sono reso conto di una cosa: nonostante la paura diffusa che ci siano “più cattivi che buoni”, non è affatto vero. Io viaggio da anni, spesso mettendomi in situazioni difficili – da Quito alla foresta amazzonica, 200 km a piedi per raggiungere una comunità – e trovo sempre persone buone, pronte ad accoglierti.

Questo festival vuole dimostrare che i buoni sono tanti e che hanno bisogno di un luogo per radunarsi, per fare amicizia, per praticare gentilezza e aprirsi emotivamente. Quest’anno sarà ancora più speciale: dormiremo tutti insieme, in tenda o in amaca, con un grande fuoco centrale. Ci saranno meditazioni notturne, il saluto al sole all’alba, Yoga Nidra e tanta musica. Sarà un’occasione unica per ritrovare connessioni autentiche e condividere esperienze che ci arricchiscono.

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