Netanyahu e Don Abbondio
Netanyahu, il vincitore della guerra contro Hezbollah, si è ridotto a vaso di coccio fra vasi di rame
Netanyahu e Don Abbondio
Netanyahu, il vincitore della guerra contro Hezbollah, si è ridotto a vaso di coccio fra vasi di rame
Netanyahu e Don Abbondio
Netanyahu, il vincitore della guerra contro Hezbollah, si è ridotto a vaso di coccio fra vasi di rame
Netanyahu, il vincitore della guerra contro Hezbollah, si è ridotto a vaso di coccio fra vasi di rame
Il vincitore della guerra contro Hezbollah si è ridotto a vaso di coccio fra vasi di rame, per citare la sempre icastica favola esopica ripresa da Alessandro Manzoni. L’inviato trumpiano in Medio Oriente, l’imprenditore ebreo-statunintese Steve Witkoff, è stato il primo a levarsi i guanti: «Trump sull’accordo fa sul serio, non rovinarlo» ha detto a Netanyahu come un bravo che spinge perché il matrimonio si faccia, invece di ostacolarlo. Il primo ministro di Gerusalemme si è ritrovato così a essere un Don Abbondio obbligato a far accettare alla sua coalizione un accordo bizzarro e poco convincente, da attuare per fornire a Donald Trump una vittoria già nel primo giorno del suo mandato.
Come prevedibile, la via per finalizzare la tregua si sta dimostrando piuttosto accidentata. L’ala della destra religiosa che tiene su il governo di Benjamin Netanyahu è subito corsa a far pesare la sua importanza, in una maggioranza parlamentare che conta appena sette parlamentari di vantaggio. Forti delle oggettive criticità di un accordo accettato esclusivamente a causa del bullismo del presidente eletto Donald Trump più che per un naturale processo endogeno di questo conflitto, le voci contrarie alle concessioni per Hamas sono capeggiate soprattutto da due politici.
Il primo è Bezalel Yoel Smotrich, leader del Mafdal (Partito nazionale religioso-Sionismo religioso) e ministro delle Finanze. I parlamentari al suo comando corrispondono appunto al numero di giorni in una settimana, con l’aggiunta del Ministero di peso che ricopre nel governo di Gerusalemme. Tuttavia Smotrich pare abbia chiuso Netanyahu in una contro-trattativa, dove in cambio della sopravvivenza dell’esecutivo sta ottenendo mari e monti: mentre scriviamo le indiscrezioni parlano addirittura del rilascio di tutti gli estremisti religiosi ebrei al momento incarcerati in Israele e persino dell’assicurazione che le operazioni belliche riprenderanno allo scadere della fase 1 della tregua. Pettegolezzi grotteschi da prendere cum grano salis. Come molti membri dell’ultradestra mondiale anche Smotrich sollecita spesso voci surreali, ma siamo comunque in una situazione in cui potremmo rimanere sorpresi dalle umiliazioni accettate da Netanyahu. Fatto sta che alla fine il capo del Mafdal ha votato “no” all’accordo, ma ha annunciato che rimarrà nel governo.
Chi invece si è dimostrato irremovibile è Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale di Israele e capo del partito Otzma Yehudit (Potere ebraico) di professione kahanista: un’ideologia arabofobica ed etno-nazionalista che lega l’accesso ai diritti civili alla professione della fede ebraica. Il suprematista ebraico ha accoppiato al voto contrario le sue dimissioni, come aveva già annunciato, anche se al momento è difficile capire se questo comporterà anche l’uscita dalla maggioranza della Knesset (il Parlamento israeliano) dei sei membri del suo partito. In ogni caso il governo di Netanyahu potrebbe sopravvivere anche con un solo parlamentare di maggioranza, nella delicata situazione in cui si trova Israele. E Ben-Gvir, con la sua kippàbianca calata di traverso, potrebbe tornare fra qualche settimana a sostenerlo dopo aver trattato un nuovo prezzo per il suo appoggio.
Al netto di questi ragionamenti da Palazzo, per utilizzare la terminologia pasoliniana, i dubbi riguardo l’accordo con Hamas vengono avanzati anche da una delle parti più intimamente interessate. Il canale tv israeliano Kan 11 riporta infatti la contrarietà di alcune famiglie dei sequestrati e degli uccisi dai suprematisti palestinesi dall’eccidio del 7 ottobre in poi, timorosi soprattutto del rilascio di massa di terroristi dalle carceri israeliane. La paura è che per ottenere un sollievo momentaneo si vada ad alimentare la spirale di rapimenti e lutti, allontanando ancora di più le prospettive di una convivenza pacifica in Terrasanta.
di Camillo Bosco
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche