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Babygirl

Babygirl, il thriller erotico con Nicole Kidman

Il film “Babygirl” della regista Halina Reijn è un’opera che non si accontenta di raccontare ma vuole sedurre e provocare, scivolando tra torbido e sublime, tra febbre del desiderio e glacialità del potere

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Babygirl, il thriller erotico con Nicole Kidman

Il film “Babygirl” della regista Halina Reijn è un’opera che non si accontenta di raccontare ma vuole sedurre e provocare, scivolando tra torbido e sublime, tra febbre del desiderio e glacialità del potere

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Babygirl, il thriller erotico con Nicole Kidman

Il film “Babygirl” della regista Halina Reijn è un’opera che non si accontenta di raccontare ma vuole sedurre e provocare, scivolando tra torbido e sublime, tra febbre del desiderio e glacialità del potere

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Il film “Babygirl” della regista Halina Reijn è un’opera che non si accontenta di raccontare ma vuole sedurre e provocare, scivolando tra torbido e sublime, tra febbre del desiderio e glacialità del potere

Cringe è il termine onomatopeico anglosassone entrato nel lessico quotidiano, soprattutto fra i ragazzi, per descrivere una situazione imbarazzante. Oltre all’imbarazzo, c’è il disagio in chi lo osserva. Così lo definisce l’Accademia della Crusca che «non promuove né ufficializza l’uso della parola, ma intende fornire strumenti di comprensione» dell’attualità. E il film “Babygirl” della regista Halina Reijn in questo senso è molto attuale. Un’opera che non si accontenta di raccontare ma vuole sedurre e provocare, scivolando tra torbido e sublime, tra febbre del desiderio e glacialità del potere. Un vorticoso thriller erotico di pulsioni e fragilità umane, di ambizioni e vulnerabilità nascoste dietro i vetri di scintillanti uffici.

Romy (impersonata da Nicole Kidman) è un’affermata ceo dallo stile impeccabile. Si fa trascinare da un’attrazione che diventa crepa, poi frattura, infine rovina. Una crisi di mezza età. Il giovane stagista Samuel (l’attore Harris Dickinson) è il volto ingannevole dell’innocenza: sensuale e molto sicuro di sé (forse troppo), sembra quasi conoscere le più recondite volontà di Romy fino a far breccia nelle sue certezze. Attorno a loro, come satelliti, orbitano Jacob, marito devoto di Romy (interpretato da Antonio Banderas) e la sua ambiziosa dipendente Esmé (l’attrice Sophie Wilde).

Il film si sviluppa in un crescendo di tensione tra dominio e sottomissione, verità e menzogna. La fotografia di Jasper Wolf avvolge ogni scena in un velo di ambiguità: le luci fredde degli uffici contrastano col calore soffocante delle stanze segrete in cui i corpi si cercano, si respingono, si umiliano. L’estetica della pellicola richiama i thriller erotici anni Novanta come “Attrazione fatale”, ma anche film più recenti e attuali come “50 sfumature di grigio”. Mettendo in scena una storia contemporanea, raccontata da una prospettiva femminile, Reijn sceglie di non giudicare ma di esplorare. E lo fa con uno occhio attento e cinico, non privo però di empatia.

“Babygirl” s’interroga sulle dinamiche del potere sessuale, sulle illusioni dell’autodeterminazione e di poter governare fino in fondo una scelta anche se consapevole. Purtroppo il film inciampa proprio dove vorrebbe essere più incisivo. Se la sceneggiatura si muove su terreni affascinanti, la messa in scena talvolta si sgretola sotto una pretenziosità eccessiva. Molti dialoghi suonano artefatti, le dinamiche psicologiche appena accennate sembrano diluirsi in una patina estetizzante che non scava davvero nel dolore e nel passato dei personaggi. Fra Romy e Samuel si crea sin da subito un vincolo che non ha basi credibili. La costruzione narrativa è solida, ma nel passaggio dalla teoria alla pratica qualcosa si perde, lasciando un amaro retrogusto di incompiutezza. Con due attori come Kidman e Banderas, il risultato avrebbe potuto essere di livello superiore.

In scena va il solito vincolo tra sesso e potere: di interessante c’è proprio la descrizione di quest’ultimo – sempre in connubio con la conoscenza – che scorre fluido, di persona in persona, senza discriminazioni. Resta infine un’opera in precario equilibrio tra fascino e ridicolo involontario, tra tensione sensuale e grottesco. Come Romy cammina sul bordo del precipizio, senza mai chiedersi se la caduta sia liberazione o condanna. E in questo scivolare, in questa vertigine, c’è qualcosa di disturbante. Ma anche qualcosa, per chi lo vuole cogliere, di autentico.

di Edoardo Iacolucci

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