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Sanremo, Conti e l’Italia alla democristiana (ma non è così)
Il Festival resta uno specchio del Paese e del momento storico della nostra società. A Sanremo 2025 cantiamo d’amore ma non mettiamo una riga d’attualità nei testi
Sanremo, Conti e l’Italia alla democristiana (ma non è così)
Il Festival resta uno specchio del Paese e del momento storico della nostra società. A Sanremo 2025 cantiamo d’amore ma non mettiamo una riga d’attualità nei testi
Sanremo, Conti e l’Italia alla democristiana (ma non è così)
Il Festival resta uno specchio del Paese e del momento storico della nostra società. A Sanremo 2025 cantiamo d’amore ma non mettiamo una riga d’attualità nei testi
Il Festival resta uno specchio del Paese e del momento storico della nostra società. A Sanremo 2025 cantiamo d’amore ma non mettiamo una riga d’attualità nei testi
Guardate che Sanremo è una cosa seria. Inteso come Festival, si intende. Un po’ come il calcio, la più importante delle cose non importanti della vita (cit. sacchiana). Perché sia pur in buona misura senza volerlo o coltivando chissà quali pretese, resta uno specchio del Paese e del momento storico della nostra società. Da sempre.
Pensate ad Amadeus, che ha sentito l’aria fischiare intorno a sé nell’ultima, peraltro trionfale edizione e ha salutato la compagnia. Perché? In realtà non lo sa nessuno, però bastava l’idea, il sentiment, lui li ha annusati e salutato nel momento del trionfo. Il che è sempre un bel modo di saper uscire di scena.
Al suo posto, praticamente senza dibattito e corsa con nessun altro potenziale protagonista, il più democristiano dei nostri conduttori odierni, Carlo Conti. Uno bravo, formatosi come Amadeus alla splendida e inimitabile scuola della radio. Uno che Sanremo l’ha già fatto e con numeri ragguardevoli. Uno che ci sa fare e che soprattutto non sbaglia praticamente mai. Tranquillizzante, aggiungeremmo e questa postilla è fondamentale.
Un’Italia alla democristiana, affidata a uno degli eredi più credibili dello stile placidamente rassicurante dell’uomo che incarnò la Rai della prima Repubblica, Pippo Baudo. Attenzione, però, perché le similitudini si fermano alla superficie. Baudo a Sanremo inventava casi e scandali, gestiva fuori programma passati alla storia (compresi gli improbabili, aspiranti suicidi), era una star assoluta e si comportava da tale. Aveva a disposizione somme di denaro che gli permettevano di arrivare a nomi del calibro di Whitney Houston, Madonna e Bruce Springsteen, saliti sul palco dell’Ariston sotto la sua egida.
Fa veramente sorridere pensare che i “super ospiti” stranieri di quest’edizione siano i Duran Duran, che erano… i Duran Duran quando appunto conduceva Baudo, anno di grazia 1985. Fanno 40 e il loro ritorno oggi è in linea con i varietà nostalgici di Conti del venerdì sera.
È cambiato tutto nel Paese e in Tv, ma se si ripercorre quella strada è perché non vuoi prenderti neppure il più lontano rischio di andare una nota sopra o sotto lo spartito prevedibile. Prima ancora che una critica, una fotografia di un’Italia che si vorrebbe democristiana ma secondo l’accezione che siamo abituati a dare oggi a quel aggettivo. Tendiamo a pensare che il Paese di allora fosse molto più clericale, se non baciapile, di sicuro poco coraggioso. Un’immagine che non sempre corrisponde al vero e nel microcosmo di Sanremo dimentica che l’Italia baudiana sapeva regalarsi accenni di grandeur oggi impossibili.
Al Festival 2025 cantiamo d’amore e non mettiamo una riga d’attualità nei testi (qualcuno è disposto a credere sia un caso?) e anche chi sfoggia look aggressivi e si ricopre di tatuaggi finisce per scegliere temi di piccolo cabotaggio o delle scimmiottature del modello Ghetto Usa.
Proviamo a divertirci e a non morire di noia, primo comandamento del Sanremo Conti due.
Di Fulvio Giuliani
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