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Via italiana per l'Ucraina

La via italiana per l’Ucraina

La via italiana per l’Ucraina, la possibile operazione di peacekeeping: alcune possibili caratteristiche di un nostro contingente

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La via italiana per l’Ucraina

La via italiana per l’Ucraina, la possibile operazione di peacekeeping: alcune possibili caratteristiche di un nostro contingente

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La via italiana per l’Ucraina, la possibile operazione di peacekeeping: alcune possibili caratteristiche di un nostro contingente

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La via italiana per l’Ucraina, la possibile operazione di peacekeeping: alcune possibili caratteristiche di un nostro contingente

La via italiana per l’Ucraina. Ogni giorno mantenere un soldato italiano in missione in Libano costa circa 330 euro. Che al mese fanno quasi 10mila, per un totale di circa 10,5 milioni di euro di spese complessive per l’intero contingente. I costi di una missione internazionale sono un tema chiave in fase decisionale. Il budget della Difesa non è infinito e quando si sceglie di farsi carico di un nuovo impegno internazionale (o di confermarne uno attivo) va capito esattamente quanti militari, mezzi e servizi inviare. Questo dovrà accadere anche per la possibile operazione di peacekeeping in Ucraina. Fermo restando che al momento non c’è nulla di concreto dal punto di vista sia operativo che di organico, è possibile immaginare alcune possibili caratteristiche di un nostro contingente.

Il primo punto fermo lo stabilirà la natura della missione. Sarà una forza di interposizione Onu? Avrà guida europea? Sarà slegata dai grandi player sovranazionali? O invece si tratterà di una serie di osservatori neutrali, senza reali poteri? Finché questo punto non sarà definito qualunque ipotesi resterà astratta.

Immaginiamo dunque, ai fini dell’analisi, che si opti per una forza di interposizione in stile Libano, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Le unità militari avranno il controllo di una fascia cuscinetto fra i russi e gli ucraini, che andrà ripulita da armi e gruppi armati delle due parti. Il contesto è però molto diverso da quello libanese. La linea da presidiare sarà lunga diverse centinaia di chilometri e le forze da separare sono due colossali eserciti, armati fino ai denti, ostili l’uno all’altro e dotati di sistemi moderni (e distruttivi). Qualunque credibile forza di interposizione dovrà poter competere con entrambe le parti. Imprescindibili quindi veicoli corazzati e, possibilmente, carri armati. Serviranno poi unità specializzate nella neutralizzazione di ordigni, di difesa aerea e di polizia militare, per garantire la legalità all’interno della zona cuscinetto (che potrebbe includere cittadine e villaggi abitati da civili).

Se la forza di interposizione dovesse assumere i connotati proposti da Londra e Parigi – ovvero un organico complessivo di circa 30mila soldati da dividere fra (almeno) una dozzina di Paesi – l’Italia potrebbe schierare circa 1.500 o 2mila militari (il che significa, incluse unità in Patria tra riposo e preparazione, un impegno di 6mila soldati).

Si tratterebbe di una brigata, come già accade in Libano e Kosovo, che mobiliterebbe i diversi servizi essenziali. Quali unità italiane potrebbero essere papabili? In un mondo ideale le brigate pesanti (la corazzata “Ariete” e la bersaglieri “Garibaldi”), dotate di tank e cingolati per la fanteria. Ma c’è un problema (di cui avrete già letto molto, su queste pagine): i nostri mezzi di questo tipo sono vetusti e inadatti a scenari ad alta intensità. L’unica scelta sarebbe quindi l’invio di brigate medie, dotate di veicoli ruotati moderni e, tutto sommato, equivalenti alle nostre attuali dotazioni corazzate. In particolare la blindo Centauro II, in servizio nei reggimenti di cavalleria, ha quasi le stesse capacità di un carro leggero.

C’è però un punto da dirimere, a prescindere da quali unità vadano al fronte: le regole di ingaggio. Perché in Ucraina non può replicarsi il caos Unifil, in cui i militari possono rispondere al fuoco solo se intenzionalmente colpiti dagli avversari. Fra Kiev e Mosca servono forze reattive, che possano difendersi e far valere il proprio mandato (sparando, se necessario). Altrimenti un nostro coinvolgimento non sarà altro che una condanna all’irrilevanza. O peggio, per i nostri militari, a morte.

Di Umberto Cascone

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