
Le parole messe al bando dall’amministrazione Trump
L’attacco diretto e mirato da parte dell’amministrazione Trump alle parole è forse il più spaventoso di tutti
Le parole messe al bando dall’amministrazione Trump
L’attacco diretto e mirato da parte dell’amministrazione Trump alle parole è forse il più spaventoso di tutti
Le parole messe al bando dall’amministrazione Trump
L’attacco diretto e mirato da parte dell’amministrazione Trump alle parole è forse il più spaventoso di tutti
L’attacco diretto e mirato da parte dell’amministrazione Trump alle parole è forse il più spaventoso di tutti
L’attacco diretto e mirato alle parole è forse il più spaventoso di tutti. Per fortuna c’è chi analizza direttive subdole e difficili da rintracciare, con cui influire addirittura sull’uso delle parole. Creando delle liste di proscrizione.
Coperti dalle decine di Executive Order firmati con compiaciuto orgoglio da Trump, ci sono atti molto meno spettacolari di quello che ha sancito il cambio di nome (per gli Usa) del Golfo del Messico in Golfo d’America: memorandum governativi, linee guida ufficiali e ufficiose e raccomandazioni esplicite di dirigenti che hanno letteralmente invaso le agenzie federali.
Documenti con cui l’amministrazione Trump starebbe stilando una vera e propria lista delle parole bandite dai documenti pubblici. Si tratta di un elenco che il New York Times ha pubblicato nello scorso weekend, sulla base di un’approfondita analisi di numerosi atti, ordini e disposizioni visionati direttamente dai giornalisti del quotidiano statunitense e la cui veridicità non è stata smentita né in tutto né in parte.
La sua lettura ci appare quantomai opportuna, perché vi troverete molto di più della battaglia di Donald Trump alla deriva woke.
Lo scrive chi non ha mai nascosto un profondo fastidio e un sincero allarme per le esagerazioni del politicamente corretto e della medesima cultura woke.
Da questo a un’offensiva scriteriata e generalizzata nei confronti della libertà di espressione – per di più nei documenti ufficiali – ci passano delle galassie.
Con la scusa degli eccessi woke si indica quali parole usare e quali no (a quando i libri?) e questo è uno scempio della tradizione e della storia americane. Un’offesa ai principi per cui centinaia di migliaia di soldati statunitensi hanno sacrificato la vita nel corso del Novecento.
Non esiste libertà e democrazia senza libertà assoluta di parola, che proprio questa amministrazione Usa (con supremo disprezzo del ridicolo) ha la pretesa di venire a insegnare anche a noi europei. A Monaco, siamo stati accusati dal vicepresidente Vance di averla negata, perché poniamo degli argini normativi alle derive propagandistiche nazistoidi. Poi, viene alla luce la lista di proscrizione delle parole.
Siamo rimasti basiti dall’ottusità burocratica che ha portato al ban anche nei confronti del nome del B29 che sganciò l’atomica su Hiroshima, “Enola Gay“.
Il problema è molto più profondo, perché dietro la guerra alle parole c’è ben altro: se si impedisce di parlare o scrivere di “crisi climatica” o di “scienza del clima” si agisce con il preciso obiettivo di bloccare le istituzioni scientifiche federali impegnate nello studio di fenomeni che stanno già influenzando la nostra vita, spesso con effetti catastrofici. Per (non) tacere dell’assalto a tutti i termini relativi alla “diversità e inclusione”, all’universo “lgbt” e persino alla “disabilità” che non hanno nulla a che vedere con le derive woke.
di Fulvio Giuliani
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