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Bergoglio e la fine politica da Papa nel XXI secolo

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Uno degli effetti della laicizzazione della società è la laicizzazione della figura papale stessa, considerata più come riferimento morale che come indiscutibile guida dottrinale. Bergoglio ha rafforzato questa tendenza

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Bergoglio e la fine politica da Papa nel XXI secolo

Uno degli effetti della laicizzazione della società è la laicizzazione della figura papale stessa, considerata più come riferimento morale che come indiscutibile guida dottrinale. Bergoglio ha rafforzato questa tendenza

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Bergoglio e la fine politica da Papa nel XXI secolo

Uno degli effetti della laicizzazione della società è la laicizzazione della figura papale stessa, considerata più come riferimento morale che come indiscutibile guida dottrinale. Bergoglio ha rafforzato questa tendenza

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La prima osservazione è di carattere umano: capita sempre così e nella corsa a dire la propria sul defunto ciascuno parla di sé stesso. La seconda è di ordine politico: in tanti provano a raccontare il dolore dell’avere perso un proprio rapporto speciale e d’intensa condivisione con Bergoglio. Dopo avere dovuto celare l’intenso dolore per la non condivisione delle cose che sostenne.

In questa corsa, che entro sabato comporta anche l’assicurarsi un posto ai funerali, si coglie la natura particolare di un’influenza che non solo va oltre la platea dei fedeli, ma che è probabile sia più vasta – o considerata tale – proprio fuori da quella comunità. Che, peraltro, specie se ci si riferisce a quanti non solo si professano cattolici ma anche praticano tale confessione, è più in contrazione che in espansione. Uno degli effetti della laicizzazione della società è la laicizzazione della figura papale stessa, considerata più come riferimento morale che come indiscutibile guida dottrinale.

A favorire tutto ciò concorre anche il fatto che Bergoglio disse molto e talora anche l’opposto. Sul fronte ucraino si può ricordare l’avere definito il patriarca Kirill quale «chierichetto di Putin» o rammentare l’«abbaiare» della Nato ai confini russi. Troppi di quelli che oggi si sentono bergogliani si sentirono male quando andò a Lampedusa e quando ripeté che gli immigrati vanno accolti, tendenzialmente tutti. Colpì il suo non potere giudicare un omosessuale che si avvicinasse alla divinità. Salvo poi prendersela con la ‘frociaggine’ presente nei seminari e fra i preti. Epperò sarebbe superficiale imputargli incoerenza, perché ciascuna di quelle affermazioni rispondeva a domande diverse e si riferiva a contraddizioni che esistono nella realtà.

Attenzione a far finta di non avere capito un punto dirimente che divide la cristianità. Un punto sul quale è patetica l’operazione di prendere il Bergoglio che piace e nascondere quello che dispiace. Un punto che segna una radicale differenza e un’incolmabile distanza. Quella fra il ministero che lui esercitò e l’approccio di chi riceve alla Casa Bianca i predicatori. Un punto che già da solo fa cadere nel ridicolo la pretesa di diversi di volere vestire i panni del governante ‘defensor fidei’. Il primo fu Enrico VIII, che ripagò il riconoscimento vaticano con uno scisma.

E il punto è quello della ricchezza. Per i cattolici che divennero protestanti e per i protestanti che oggi in America diventano cattolici, la ricchezza è un segno e dono divino. Per il pontefice venuto dall’Argentina, discendente di emigranti che furono accolti, la ricchezza non è segno del peccato, ma neanche la povertà. E il ricco che non presta attenzione e soccorso al povero non può dirsi buon esempio di credente nella fratellanza umana.

Due approcci opposti, che il gesuita non volle nascondere, ma esaltare. Al punto che taluni lo hanno descritto e salutato come “rivoluzionario” o almeno “progressista”. Ci si è risparmiati il ridicolo di supporlo di sinistra. Laddove se c’è la figura di un conservatore è quella del pontefice, impegnato a conservare in vita la più antica istituzione occidentale con aspirazioni universali. E su questo c’è poco da fare i furbi o gli ipocriti, abbozzando per prendersi la propria fetta di Bergoglio.

Il quale divenne papa nel mentre era vivente un altro papa, che si ritenne sconfitto dalle forze avverse che trovò in Vaticano. Forze che Bergoglio prese a spallate, anche usando simbolismi dal sapore populista. Come l’utilitaria su cui prendeva posto, preceduta e seguita da più quotate vetture di scorta. Forze, però, che non ha vinto e che sono ancora presenti. Lo sapeva, al punto da predisporre un Conclave a lui più vicino, puntando non sulla teologia, come il suo predecessore, ma sui rapporti di forza. Conclave che, per sua natura, poteva riunirsi solo in occasione della sua morte. Quella partita, quindi, Bergoglio la gioca da defunto, avendo predisposto altre simbologie, che si dispiegano in queste ore.

Di Davide Giacalone

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