Mediobanca e scalate. Un’intesa paziente
Il guanto della sfida è stato lanciato: su Mediobanca con una scalata promossa da Monte dei Paschi di Siena e su Generali, con l’acquisto di azioni e la battaglia ingaggiata in Assemblea

Mediobanca e scalate. Un’intesa paziente
Il guanto della sfida è stato lanciato: su Mediobanca con una scalata promossa da Monte dei Paschi di Siena e su Generali, con l’acquisto di azioni e la battaglia ingaggiata in Assemblea
Mediobanca e scalate. Un’intesa paziente
Il guanto della sfida è stato lanciato: su Mediobanca con una scalata promossa da Monte dei Paschi di Siena e su Generali, con l’acquisto di azioni e la battaglia ingaggiata in Assemblea
Si può raccontarla usando il vocabolario della finanza, correndo però il rischio di non aiutare a capire quel che sta succedendo. Perché l’intrecciarsi delle offerte pubbliche di scambio è naturalmente guidato dalle convenienze e compatibilità finanziarie, ma indirizzate a una risistemazione degli equilibri di potere. Tanto che il governo ha sentito il bisogno – commettendo un azzardo – di intervenire su quella lanciata da Unicredit nei confronti di Bpm. E non è neanche detto che la partita si risolva con il prevalere delle parti direttamente in gioco, essendo ben possibile che trovi inveramento l’antico proverbio secondo cui fra i due litiganti il terzo gode.
Da tempo il tandem fra Caltagirone e Del Vecchio, poi scomparso e con la guida del suo gruppo nelle mani di Milleri, gira attorno a Mediobanca e a Generali. Il guanto della sfida è stato lanciato in tutti e due gli ambiti: su Mediobanca con una scalata promossa da Monte dei Paschi di Siena e su Generali – che è il piatto forte – con l’acquisto di azioni e la battaglia ingaggiata in Assemblea. Quest’ultima, conclusasi la settimana scorsa, è stata vinta da Mediobanca e persa da Caltagirone e Milleri con la conferma dei vertici precedenti. Epperò l’assedio a Mediobanca continuava e se gli scalatori fossero riusciti a espugnarla si sarebbero ritrovati con un consistente pacco di azioni Generali in portafoglio.
La banca scalata (in questo caso Mediobanca) vede, per legge, limitate le proprie possibilità di manovra. Ad esempio non può cambiare il proprio profilo patrimoniale. Deve attendere di sapere se il mercato preferisce l’offerta degli scalatori o la condizione in cui gli azionisti già si trovano. Ma Nagel, amministratore di Mediobanca, ha trovato un varco ed è stato lesto a infilarcisi: una volta vinta la partita Generali, i valori azionari hanno reso possibile un’offerta di scambio fra le azioni Generali che ha Mediobanca e quelle della Banca Generali. Se andasse in porto, Mediobanca si ritroverebbe fuori dai giochi di Generali ma con una banca in più da gestire.
Dal punto di vista industriale ciò risponde al programma di essere uno strumento al servizio di famiglie con considerevoli disponibilità (in Italia c’è tanta ricchezza di quel tipo). Quindi ha una coerenza, visto che Mediobanca fa già quel mestiere. Ma c’è dell’altro: i consiglieri d’amministrazione che in Mediobanca fanno capo a Caltagirone e Milleri non hanno potuto opporsi, perché sarebbero stati in conflitto d’interessi e difatti si sono astenuti; mentre cedendo le azioni di Generali è escluso che si possa prenderne il controllo dopo avere deglutito Mediobanca. In altre parole: diventa un boccone avvelenato e inutile.
Già, ma in questo modo Mediobanca perde il controllo di Generali, dove Caltagirone e Milleri divengono i primi singoli azionisti. Vero, ma l’Assemblea si è appena tenuta e per tre anni sarà ben difficile schiodarne i risultati. E per quel che riguarda l’avvenire, si trova non soltanto sulle ginocchia di Giove ma anche nelle casse di Banca Intesa, che resta la più grande banca italiana e ha in pegno le azioni Generali dei due scalatori quale condizione per finanziarli. Se qualcuno riesce a spostare il rifugio che si trova in vetta, sicché dopo tanto sudore gli scalatori si troveranno sulla strada sbagliata, sarà Intesa a potere giocare un ruolo importante.
Il che aiuta a capire l’apparente eccentricità di una così importante istituzione finanziaria che all’Assemblea di Generali vota la lista dei fondi e prende un numero insignificante di voti e nessun consigliere. Chi non ha fretta può ben attendere che le cose maturino. Magari grazie alla fatica e ai rischi corsi da altri, che potrebbero ritrovarsi con poco in mano.
Tutto questo comporta che i governi non dovrebbero mai provare non soltanto a giocare ma neanche a tifare. In quanto ad arbitrare, come taluno si vanta di star facendo, anche questo non è il compito dei governi ma di apposite autorità indipendenti. Al momento, per la verità, anche assenti.
Di Davide Giacalone
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