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Globalizzazione con la guardia alta

Bisogna capire come il conflitto ucraino cambi le prospettive del commercio internazionale e di conseguenza la nostra vita. Putin lo ha detto: l’asse geopolitico deve spostarsi sull’Asia, su Russia e Cina.
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Globalizzazione con la guardia alta

Bisogna capire come il conflitto ucraino cambi le prospettive del commercio internazionale e di conseguenza la nostra vita. Putin lo ha detto: l’asse geopolitico deve spostarsi sull’Asia, su Russia e Cina.
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Globalizzazione con la guardia alta

Bisogna capire come il conflitto ucraino cambi le prospettive del commercio internazionale e di conseguenza la nostra vita. Putin lo ha detto: l’asse geopolitico deve spostarsi sull’Asia, su Russia e Cina.
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Bisogna capire come il conflitto ucraino cambi le prospettive del commercio internazionale e di conseguenza la nostra vita. Putin lo ha detto: l’asse geopolitico deve spostarsi sull’Asia, su Russia e Cina.

Forse è meglio darsi una sveglia e capire come il conflitto ucraino cambi profondamente le prospettive del commercio internazionale e di conseguenza delle nostre vite quotidiane. Molti economisti hanno già recitato il de profundis sulla globalizzazione, incrinata dopo la pandemia e le diffidenze reciproche con i cinesi ma andata in frantumi con la guerra in Ucraina. Putin lo ha detto ed è il vero motivo del conflitto: l’asse geopolitico (e quindi economico, ma in Russia si pensa alla vecchia maniera) deve spostarsi sull’Asia, su Russia e Cina.

Nel momento in cui alla competizione economica e all’integrazione dei sistemi sostituisci la prevalenza politica di una parte, allora la globalizzazione non è più un’area di reciproca sicurezza attraverso l’integrazione né economica né politica. La Germania ha iniziato a discuterne e Christian Lindner, ministro delle Finanze del governo federale, ha rilasciato una intervista alla “Handelsblatt” nella quale con pesanti e impegnative parole vuole riaprire i negoziati sul Ttip: «Soprattutto ora, la crisi mostra quanto sia importante il libero scambio con partner del mondo che condividono i nostri valori». Ricordiamo che il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), insieme al gemello Tpp nel Pacifico, era il disegno di un’area di libero scambio alla quale erano sottesi accordi militari a sua difesa legati ad alleanze politiche e che avrebbe rappresentato – dal Giappone all’Ucraina (!) – il 60% del Pil mondiale. Il disegno si frantumò con Trump da una parte e con le fortissime resistenze di Merkel, che guidava l’espansione tedesca verso Cina e Russia.

Quel mondo è finito e per quanto già da qualche anno, causa pandemia, si rifletta sulle catene di fornitura oggi troppo esposte, l’idea di un mercato geopoliticamente più integrato e più sicuro si fa strada non nei dibattiti ma nelle grandi aziende: Volkswagen ha dichiarato che intende portare la propria quota di mercato americano dal 4 al 10% per sostituire i mercati russi e soprattutto cinesi, dove è fortemente esposta. Lindner lo sa bene e cerca di costruire un quadro politico intorno a queste scelte. In Austria hanno cominciato a discuterne.

In Italia dobbiamo stare molto attenti e invece di sentire ululati sguaiati sulla perdita del mercato russo dobbiamo ricordare che il manufatturiero del Nord, il più forte in Europa e che vive di export, è strettamente integrato con i carmaker, ma non solo con quelli, tedeschi: a noi conviene dire subito al Paese e alle sue aziende che il Ttip torna a essere la prospettiva. Globalizzazione, ma con la guardia alta. Sarà una transizione lunga con sicure frizioni sui prezzi ma non è responsabilità nostra se Cina e Russia hanno tentato la spallata: pensavano che l’Occidente fosse decotto e lo speravano anche alcuni nostri connazionali, ansiosi di avere un Capo. Gli andrà molto male.

  di Flavio Pasotti

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