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Il 25 aprile è da sempre una data divisiva

L’Italia è un Paese che trascura una memoria condivisa, a confermarlo è il 25 aprile: quella che dovrebbe essere la ricorrenza più unitaria è da sempre una data divisiva.
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Il 25 aprile è da sempre una data divisiva

L’Italia è un Paese che trascura una memoria condivisa, a confermarlo è il 25 aprile: quella che dovrebbe essere la ricorrenza più unitaria è da sempre una data divisiva.
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Il 25 aprile è da sempre una data divisiva

L’Italia è un Paese che trascura una memoria condivisa, a confermarlo è il 25 aprile: quella che dovrebbe essere la ricorrenza più unitaria è da sempre una data divisiva.
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L’Italia è un Paese che trascura una memoria condivisa, a confermarlo è il 25 aprile: quella che dovrebbe essere la ricorrenza più unitaria è da sempre una data divisiva.
Dovrebbe essere la ricorrenza più unitaria, quella che celebra la vittoria sul nazifascismo e la riconquista della democrazia. Invece il 25 aprile è da sempre una data divisiva: la conferma che l’Italia è un Paese che trascura una memoria condivisa. Le ragioni che fanno di questo giorno un solco che divide, invece che una sutura che riunisce, sono diverse. La principale è che, in una terra di confine quale siamo, si tratta di un passaggio colpevolmente strumentalizzato. Dai vincitori, specialmente quelli di tradizione comunista, per autoassegnarsi il diritto di impartire un crisma che divide i buoni dai cattivi. Dai vinti, per covare un impossibile sogno revanscista brandendo l’arma del revisionismo. Due errori storici, due contorsioni politico-ideologiche che sono andate degenerando; e che, oggi che le armi tornano tragicamente a intonare in Europa il loro canto di morte, vanno in suppurazione. Come? Ecco. È vero, l’Italia è stata liberata dalle truppe anglo-americane senza le quali quel risultato sarebbe stato impossibile. È altrettanto vero che la Resistenza ha svolto un ruolo tutt’altro che marginale. Se infatti l’Italia – a differenza della Germania – ha potuto liberamente scegliere tra Monarchia (preferita dagli Alleati) e Repubblica, se ha potuto eleggere una Costituente e scrivere in piena libertà e non sotto dettatura la Costituzione, è stato perché un pezzo di popolo è insorto e con la Resistenza ha formato un gruppo di guida capace di diventare interlocutore dei governi dei vincitori. Nessuno lo spiega meglio dell’attuale presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato: «Quella situazione ha fatto sì che con un nostro atto, il famoso decreto luogotenenziale n. 98, decidessimo il nostro futuro. Chi considera la Resistenza una vicenda di parte altrui è bene che ristudi la Storia e che si renda conto che senza la Resistenza la Costituzione non sarebbe stata possibile». Dunque “la Costituzione nata dalla Resistenza” non è una giaculatoria retorica ma la riproposizione di un passaggio fondamentale che ha consentito all’Italia la rinascita democratica sotto il segno dell’autonomia. Ci sono stati tentativi di ricucitura di quella lacerazione. Come quando Luciano Violante affermò che i morti vanno tutti rispettati, anche quelli di Salò. O quando a Onna – dopo che la faziosità era arrivata a fischiare Letizia Moratti che portava in carrozzella alle manifestazioni il padre, partigiano vero – Silvio Berlusconi toccò l’apogeo di un’ispirazione riconciliatrice precisando che se il 25 è la festa di tutti, di tutti si deve avere rispetto «ma senza che questo significhi equidistanza». La Resistenza che ha portato al 25 aprile e alla Costituzione è il basamento politico-ideale su cui tutti gli italiani possono e debbono riconoscersi. È il ricordo delle vittime, la memoria dei caduti. Sono questi i valori che in questo giorno le organizzazioni come l’Anpi dovrebbero custodire e valorizzare. Senza ossessivamente cercare nuovi nemici con lo sguardo nello specchietto retrovisore della Storia. di Carlo Fusi

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