Ritornano le posizioni contro Draghi
La complicità tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, sul contrasto alle scelte di Draghi, induce a pensare alla possibilità del primo governo Conte.
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Ritornano le posizioni contro Draghi
La complicità tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, sul contrasto alle scelte di Draghi, induce a pensare alla possibilità del primo governo Conte.
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Ritornano le posizioni contro Draghi
La complicità tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, sul contrasto alle scelte di Draghi, induce a pensare alla possibilità del primo governo Conte.
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La complicità tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, sul contrasto alle scelte di Draghi, induce a pensare alla possibilità del primo governo Conte.
Le ritrovate affinità elettive tra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, sulla guerra e sul contrasto alle scelte di Mario Draghi sul Pnrr, inducono molti a sentir soffiare tutt’intorno il venticello del primo governo Conte. Quello finito per la «scarsa cultura istituzionale» denunciata dal presidente del Consiglio nei confronti del suo vice nonché ministro dell’Interno. Ma come si sa certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano eccetera eccetera.
All’epoca c’era un altro vice che voleva l’uomo di Palazzo Chigi come “esecutore” delle volontà dei suoi numeri 2. Adesso Di Maio gioca una partita diversa e alla coppia si è aggiunto nientemeno che Silvio Berlusconi. Le sue esternazioni pro Putin, poi corrette nell’infinito canovaccio di chi vuole giocare tutte le parti in commedia, sono nient’altro che il modo di mettere almeno un pizzico di cappello sulla sintonia ritrovata tra Matteo e Giuseppe. Ben sapendo che quella del Cav è una parabola inesorabilmente discendente ma che il fiuto del Signore di Arcore per capire dove stia la sua convenienza è ancora intatto.
Infatti il nocciolo del problema non sta qui. Sta nelle mani e nella agibilità politica di Conte. Che, paradossalmente – nel mentre assomma sconfitte e perfino qualche figuraccia come accaduto per la presidenza della Commissione Esteri passata dai Cinquestelle a Stefania Craxi (!) – conquista una indispensabilità sia per il centrodestra che per il centrosinistra affatto trascurabile. Per il centrodestra perché l’acronimo BCS (Berlusconi, Conte, Salvini) negli scenari non solo di fantapolitica può diventare il piedistallo di una possibile coalizione che costringerebbe Giorgia Meloni a mettersi a scia e alla truppa grillina, ridotta in termini di voti e di seggi, di restare nell’orbita di un futuro governo e della spartizione del potere. Un disegno coltivato anche a sinistra da Enrico Letta con il suo “campo largo” che nelle espressioni del suo predecessore Nicola Zingaretti (quello di Conte «fortissimo punto di riferimento dei progressisti») diventa addirittura un «dovere morale» nel momento delle elezioni. Beh, niente male per un personaggio che viene descritto tra ironie e sufficienze come emulo del “Mr. Smith va a Washington” di Frank Capra, capolavoro che l’American Film Institute piazza al quinto posto tra i 100 film più commoventi.
Peccato che non sia commozione il sentimento che le strambate di Conte su armi all’Ucraina, reddito di cittadinanza e perfino un termovalorizzatore provocano in Mario Draghi. Il presidente del Consiglio si sente sempre più logorato dai giochi di posizionamento elettoralistico dei componenti la sua maggioranza. E non è escluso che – altro che continuare dopo il voto del 2023! – alla fine possa essere lui a pronunciare il The End per un’esperienza di governo snaturata nei contenuti e mascariata per la sua immagine di civil servant.
di Carlo Fusi
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