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Spioni, veri e presunti

Per tracciare i pifferai magici dello zar non serve un’indagine del Copasir, basta un telecomando o uno smartphone.
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Spioni, veri e presunti

Per tracciare i pifferai magici dello zar non serve un’indagine del Copasir, basta un telecomando o uno smartphone.
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Per tracciare i pifferai magici dello zar non serve un’indagine del Copasir, basta un telecomando o uno smartphone.
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Per tracciare i pifferai magici dello zar non serve un’indagine del Copasir, basta un telecomando o uno smartphone.

Chi creda di aver assistito al peggio della propaganda russa in Italia, in questi tre mesi di guerra scatenata da Vladimir Putin in Ucraina, farebbe bene a riavvolgere il nastro della memoria. Fino a prova contraria, restiamo pur sempre il Paese che ha avuto per l’intera Guerra fredda il più grande Partito comunista dell’emisfero occidentale. Non era solo un dato politico di straordinario valore e peso negli equilibri complessivi dell’Italia, significava avere a che fare con un organismo finanziato direttamente dal Cremlino e non certo in modo episodico. Parliamo di una ‘regola’ andata avanti – in forme diverse – finché è esistita l’Urss e che ancora oggi molti dei protagonisti di allora faticano ad ammettere. È interessante notare che questa ritrosia nei confronti della verità non sia determinata tanto da scrupoli morali (diciamola per bene: vergognarsi di aver preso i soldi dal nemico) ma dall’idea così radicata in tanti di una superiorità etica, utile a giustificare qualsiasi compromesso o quasi. “L’egemonia culturale della sinistra” può essere stucchevole se ridotta ad arma propagandistica buona per un talk politico, ma resta faccenda estremamente seria se si vuole analizzare e comprendere la formazione della coscienza di sé dell’intero Paese. Un fenomeno che ha interessato i decenni del dopoguerra e quelli seguiti alla caduta del Muro di Berlino.

I nomi indicati in modo invero spericolato dal Copasir – il Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza – come gli agit-prop di Vladimir Putin non dicono nulla di nuovo. Non hanno inventato proprio niente: né uno stile, tantomeno una metodologia di inquinamento della realtà e ribaltamento delle responsabilità e delle colpe. Piuttosto, fa sorridere pensare che sia necessaria un’indagine parlamentare per individuare i pifferai magici dello zar, quando dovrebbe essere più che sufficiente un telecomando o uno smartphone. Sono lì, davanti a noi da mesi, nelle nostre orecchie e nei nostri occhi. Ripetono sempre le stesse cose e, proprio adesso che cominciavano a mostrare la corda, non è sembrata una grande idea regalar loro ulteriore visibilità e soprattutto quell’aureola di ‘martiri’ che non avrebbero meritato neppure per un istante. Anche metterli tutti sullo stesso piano è un rischio, perché da sempre Mosca si è mossa su binari paralleli: gli agenti – persone che per denaro o sotto ricatto hanno fatto le spie o gli agitatori – e quelli, per certi aspetti più pericolosi, che ci credevano e ci credono sul serio. Gente non spinta dal denaro o dalla convenienza personale ma innescata da un’ideologia, spesso da potenti e meschini rancori, da quell’idea di superiorità che ha mosso decenni di retori falliti.

Bisogna stare molto attenti e saper distinguere fra la propaganda più rozza, affidata ai narcisi di professione, e le operazioni di vera intelligence. Il martellamento social, frutto di campagne con un cervello e una regia unici, è un lavoro in profondità capace di incidere sul sentiment popolare e di indirizzare il dibattito pubblico. Parliamo delle infiltrazioni che gli Stati Uniti hanno drammaticamente conosciuto negli ultimi anni, arrivate a svolgere un ruolo ammesso dagli stessi servizi di sicurezza nelle elezioni presidenziali e nei giorni dell’assalto al Congresso. Vere e proprie azioni ostili, i cui effetti gli osservatori più scrupolosi sapranno scorgere anche in Italia e che dovremmo evitare accuratamente di confondere con le sceneggiate tv. Puro folklore a vantaggio di share e di ego televisivi vagamente patetici.

Di Fulvio Giuliani

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