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L'Italia degli anni Ottanta

Ottanta di questi anni, oh yeah!

40 anni dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982, ritorna la nostalgia per quegli anni Ottanta. Certo, non era tutto rose e fiori, ma in quel decennio qualcosa in più c’era: si chiamava ottimismo.
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Ottanta di questi anni, oh yeah!

40 anni dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982, ritorna la nostalgia per quegli anni Ottanta. Certo, non era tutto rose e fiori, ma in quel decennio qualcosa in più c’era: si chiamava ottimismo.
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Ottanta di questi anni, oh yeah!

40 anni dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982, ritorna la nostalgia per quegli anni Ottanta. Certo, non era tutto rose e fiori, ma in quel decennio qualcosa in più c’era: si chiamava ottimismo.
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40 anni dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 1982, ritorna la nostalgia per quegli anni Ottanta. Certo, non era tutto rose e fiori, ma in quel decennio qualcosa in più c’era: si chiamava ottimismo.
«Lo diceva Neruda, che di giorno si suda, ma la notte no! Rispondeva Picasso: io di giorno mi scasso, ma la notte no!». Per entrare, 40 anni dopo un trionfo calcistico mondiale, nello spirito degli anni Ottanta fuor dal pallone, non c’è nulla di meglio della canzone-tormentone di Renzo Arbore nel programma cult “Quelli della notte”. In quel divertirsi, totalmente imprevisto e libero, c’è l’essenza di una filosofia che ha segnato un intero decennio in Italia, in Europa e nel mondo occidentale: voglia di vivere, spregiudicatezza, ricchezza come valore. Libertà. Intendiamoci, non che la nostalgia del passato debba infiorettare tutto. Sarebbe un erroraccio, dato che gli anni Ottanta sono stati anche quelli della strage dell’Heysel per una finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool o la coda di quel che restava, in Italia, del terrorismo che si andrà, proprio in quel decennio, via via spegnendo. La vita, come il tempo, ha questa dote: non è mai manichea, con il buono e il bene tutto da una parte e il cattivo e il male dall’altra. Eppure in quegli anni Ottanta un di più c’è stato e si chiamava ottimismo. Per una serie di incastri che di tanto in tanto accadono – dagli Stati Uniti all’Italia, passando per la Spagna – si andava incontro quasi ovunque ai cambiamenti, senza timori. Negli Usa Ronald Reagan tracciava la via di un capitalismo ancor più libero e deregolamentato, per produrre di più e creare maggiore ricchezza per tutti. Di qua dall’Atlantico, la Spagna uscita dalla dittatura franchista sprigionava tutta la propria voglia di libertà e di vivere: dal cinema alla movida, passando anche per i Mondiali di calcio ospitati nel 1982. In Italia, poi, si cominciava a non vergognarsi di spendere i soldi onestamente guadagnati, esplodeva la grande moda firmata, comparivano gli yuppy e forse per la prima volta entrava in crisi la cultura catto-comunista, così tanto moralista e così poco ottimista. I partiti laici erano dinamici: un socialista (Sandro Pertini) sedeva al Quirinale e un repubblicano (Giovanni Spadolini) a Palazzo Chigi, dove poi arriverà il socialista Bettino Craxi. La televisione usciva dalla pedagogia pubblica di Stato e si apriva alle reti commerciali che proprio in quegli anni s’imporranno grazie al talento e al fiuto di Silvio Berlusconi. Sarà un successone, come del resto nel pallone dove il Milan del Cavaliere comincerà a vincere. Sono stati anni formidabili per il calcio e tutti i grandi giocatori sgambettavano in Italia: Maradona, Platini, Van Basten, Zico, Falcao e l’elenco potrebbe continuare. L’ottimismo ottantista sembrava insomma non dover mai finire, sino al punto di credere nella possibilità di riformare il comunismo sovietico a colpi di glasnost e perestrojka, sotto la guida di Gorbaciov. Si rivelerà un fallimento coi fiocchi, segno che l’ottimismo di per sé non basta. Antonello Venditti, in una sua canzone degli anni Ottanta, “L’ottimista”, intonava: «Ha la camicia pronta già stirata / E la mascella volitiva / È un ottimista / Dall’aria vagamente socialista / E poi e poi non sbaglia mai, yeah».   di Massimiliano Lenzi

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