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Boris Johnson ignora le riunioni di emergenza

La corsa dei contendenti alla poltrona di Johnson

Clima e politica infuocati in Gran Bretagna. Boris Johnson ignora le riunioni di emergenza – non presentandosi – per concentrarsi sui giochi di potere
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La corsa dei contendenti alla poltrona di Johnson

Clima e politica infuocati in Gran Bretagna. Boris Johnson ignora le riunioni di emergenza – non presentandosi – per concentrarsi sui giochi di potere
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La corsa dei contendenti alla poltrona di Johnson

Clima e politica infuocati in Gran Bretagna. Boris Johnson ignora le riunioni di emergenza – non presentandosi – per concentrarsi sui giochi di potere
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Clima e politica infuocati in Gran Bretagna. Boris Johnson ignora le riunioni di emergenza – non presentandosi – per concentrarsi sui giochi di potere
Londra – Mentre i termometri superano i 40 gradi, Johnson non si presenta alle riunioni per l’emergenza. È impegnato a creare nuovi membri (peers) per la Camera dei Lord. Da quando è primo ministro ne ha incaricati 80 e i media britannici riportano che stia lavorando ad assicurarsene altri 40. Ignorare emergenze per concentrarsi sui giochi di potere non è solo un problema britannico, certo è che i Tories sanno farlo in grande stile. Prendiamo la corsa dei contendenti alla poltrona di Johnson in piena crisi economica, geopolitica e climatica. Accade spesso che un primo ministro sia sostituito a metà corsa. Negli ultimi 30 anni c’è stato il passaggio da Thatcher a Major, da Blair a Brown e da Cameron a May, ma in quest’occasione i candidati hanno sentito l’urgenza di trasformare l’evento in un circo mediatico. Ecco allora che Rishi Sunak, Penny Mordaunt, Liz Truss, Kemi Badenoch e Tom Tugendhat sfilano in dirette televisive a metà strada tra dibattiti per le elezioni presidenziali Usa e il gioco televisivo “Anello debole”. Se ne stanno dietro le loro postazioni, concentrati sulle domande a cui rispondono, quasi si aspettino che il loro destino sia appeso al televoto. Il fatto è che non ci sono televoti e neanche elezioni popolari, è una questione interna. I cittadini assistono muti: quando il populismo arriva a ricercare il consenso di chi non è chiamato al voto la cosa è paradossale. Siamo all’autocelebrazione fine a sé stessa. Perché parlano a 60 milioni di persone? Si è anche trattato di una demolizione reciproca e delle politiche di Johnson. Un bello smacco, considerato che quattro dei cinque candidati (con l’eccezione di Tugendhat) le hanno promosse e le sostengono. Sunak ha ridicolizzato il piano fiscale di Truss, che ha definito «uno sperpero». Da parte sua, come ministro al Tesoro, Sunak ha al suo attivo una legge finanziaria (budget) rigorosa e da più parti contestata. Da allora non sembra avere cambiato direzione. Truss è stata incapace di controbattere a Sunak. D’altra parte, Mordaunt e Badenoch hanno battibeccato sui diritti dei trans non avendo nulla di nuovo da offrire rispetto al programma di Johnson. Controcorrente, il centrista Tugendhat ha promesso «un’attenzione incessante» sulla questione fiscale, sostenendo che le tasse siano troppo alte, e ha chiesto l’abolizione dell’aumento generalizzato della quota fiscale della previdenza sociale (National Insurance), la misura più contestata dell’ultima finanziaria di Sunak. Ha anche proposto una diminuzione della tassa sui carburanti. Alla domanda se i candidati ritenessero Johnson onesto, quattro si sono arrampicati sugli specchi. Tugendhat ha risposto «No», guadagnandosi applausi. Agli occhi del pubblico il vincitore dei dibattiti è stato proprio lui, che però ieri ha deciso di abbandonare la corsa, togliendo così i Tories dall’imbarazzo. I confronti televisivi si sono invece rivelati un boomerang per candidati in pole position come Sunak e Truss, i quali hanno ritirato la propria partecipazione ai successivi appuntamenti, ora cancellati.   Di Alessandra Libutti

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