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Un corpo restituito dal fango

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Il bimbo vittima dell’alluvione. Lo strazio ha la voce proprio di quel padre che ammette di aver sperato che “non lo trovassero più”

Un corpo restituito dal fango

Il bimbo vittima dell’alluvione. Lo strazio ha la voce proprio di quel padre che ammette di aver sperato che “non lo trovassero più”
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Un corpo restituito dal fango

Il bimbo vittima dell’alluvione. Lo strazio ha la voce proprio di quel padre che ammette di aver sperato che “non lo trovassero più”
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Il dolore che non si può descrivere ha il volto di un bambino, che il papà portava sempre con sé in sella alla sua moto. Ha il volto di Mattia, il bimbo disperso nell’alluvione delle Marche e di cui ieri è stato trovato il corpo. Lo strazio ha la voce proprio di quel padre che ammette di aver sperato che «non lo trovassero più». Perché, anche quando insensata e contro ogni logica, una minima fiammella di speranza è meglio della disperazione. Quella di una famiglia inevitabilmente devastata, di una madre che si è vista strappare il figlio dalla furia dell’acqua. E che anche se non ha nessuna colpa, per il resto della vita rivivrà quei terribili istanti: quell’ultimo abbraccio e il momento in cui lei si è aggrappata a un ramo mentre il suo bambino scivolava via. Così come la nonna ricorderà per sempre quel sorriso del nipote che nessuno poteva immaginare sarebbe stato l’ultimo. Davanti a questa famiglia spezzata, davanti a quelle foto che ora sono ricordi, cercare una spiegazione, un “colpevole” non serve. Oltre ogni dibattito, quello che conta sono le vite umane. Quelle di ogni persona morta in questa e in altre tragedie. Un bimbo che per i genitori rappresentava ogni ragione di vita e che non diventerà mai adulto. Contano un padre e una madre che hanno impiegato ogni energia per cercarlo, com’è giusto che sia. Anche quando quella ricerca si è fatta disperata. Che ci hanno mostrato che quello che vale di più è ciò che spesso diamo per scontato e che la vita può invece strappare via in un istante. Di Annalisa Grandi

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