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Post elezioni: la posizione di Meloni e il destino dei tanti sconfitti

Post elezioni Giorgia Meloni usa toni misurati e apre la strada a una successione ordinata. I tanti sconfitti, invece, entrano in un tunnel che li porterà lontano dal loro ruolo di leader

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Post elezioni Giorgia Meloni usa toni misurati e apre la strada a una successione ordinata. I tanti sconfitti, invece, entrano in un tunnel che li porterà lontano dal loro ruolo di leader

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Post elezioni Giorgia Meloni usa toni misurati e apre la strada a una successione ordinata. I tanti sconfitti, invece, entrano in un tunnel che li porterà lontano dal loro ruolo di leader

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Post elezioni Giorgia Meloni usa toni misurati e apre la strada a una successione ordinata. I tanti sconfitti, invece, entrano in un tunnel che li porterà lontano dal loro ruolo di leader

Il giorno dopo, le dimensioni del trionfo faranno ancora più impressione alla stessa Giorgia Meloni. Non una vittoria, ma un cappotto e non solo sugli avversari. Se è assolutamente vero che simili affermazioni si sono ciclicamente registrate in Italia in tutte le ultime elezioni – Matteo Renzi, Movimento 5 Stelle, Matteo Salvini – è pur altrettanto indiscutibile come nell’area di centrodestra non si fosse mai assistito a un simile dominio di un singolo partito.

Domenica, dietro Fratelli d’Italia, si è aperta una voragine in cui i numeri sono lo specchio della sostanza. Realtà che consegna a Giorgia Meloni una delle vittorie storicamente più significative delle elezioni italiane. Una cavalcata impetuosa arrivata a vette inimmaginabili da cui osservare, a distanze variabili ma comunque enormi, amici e avversari. Solitudine che il presidente del Consiglio in pectore avrà ben poco tempo di godersi.

Avrete notato i toni misurati. Addirittura il fido Crosetto si è appellato direttamente a Mario Draghi, per una gestione ordinata e funzionale del lungo periodo di transizione da una legislatura all’altra. Agognata a lungo, vista da vicino la montagna del potere può fare impressione e la debolezza degli alleati paradossalmente non aiuta a spartirsi i pesi.

È lecito e doveroso chiedersi cosa succederà nella Lega, in cui il rovescio subìto da Salvini è di tali proporzioni da obbligare a rivedere tutta una politica. Potranno mai Giorgetti, Fedriga e Zaia sopportare le conseguenze politiche di un partito doppiato da Fratelli d’Italia in Veneto e Lombardia? Potrà, in particolare, il presidente veneto accettare di veder congelate le sue richieste di un’autonomia rafforzata?

Quanto a Forza Italia, Silvio Berlusconi può archiviare il quasi aggancio all’amico-rivale Salvini così come quell’aura di golden share che potrebbe esercitare sul governo, ma parliamo di ipotesi di scuola. Sul cruciale fronte della politica estera Giorgia Meloni è stata sufficientemente pronta e intelligente da porsi in posizione indiscutibile quanto ad atlantismo e occidentalismo, offrendo una sponda anche alla stessa Commissione europea. Se trattative ce ne saranno e non tutte morbide, un’Italia rispettosa del suo storico posizionamento appena rinforzato da Mario Draghi non potrà che far piacere a Bruxelles e alle cancellerie, annacquando quei timori che pure non dobbiamo far finta di non vedere.

Dall’altra parte non c’è più nulla. Lo sfacelo del Partito democratico è totale, imputabile a una leadership insicura, grigia e priva di visione. Dopo tanto agitarsi e tre anni e mezzo di governo, i democratici sono tornati esattamente dove li aveva lasciati il reprobo Matteo Renzi. Inevitabile, alla luce della mancanza di una politica credibile da contrapporre al destra-centro. Che Letta sia ai saluti lo ha detto lui stesso, ma – come Salvini insegna – non è nel personalismo che il Pd potrà ritrovare una strada.

Tracce di terzo polo si trovano di fatto solo nelle grandi città, con i lusinghieri risultati di Milano e Firenze. Troppo poco. Lo sapevamo prima, ora abbiamo piena consapevolezza della difficoltà di costruire un progetto politico stabile partendo da due personalità così contrapposte e per certi aspetti inconciliabili.

Di Fulvio Giuliani

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