Burlina (UniPd), ‘estendere screening neonatale a lisosomiali’
Roma, 29 mar. (Adnkronos Salute) – “Le quattro principali patologie da accumulo lisosomiale – malattia di Fabry, di Pompe, di Gaucher e mucopolisaccaridosi di tipo primo – sono malattie rare genetiche ma frequenti nel nostro territorio. Il ritardo diagnostico ne pregiudica il risultato terapeutico, fondamentale lo screening neonatale che però è limitato a poche aree geografiche. Non c’è un motivo per non inserire queste patologie nello screening neonatale esteso”. Così Alberto Burlina, direttore Uoc di malattie metaboliche ereditarie, Aou di Padova, a margine della presentazione della seconda edizione di ‘Raro chi trova’, iniziativa promossa a Roma da Takeda Italia con il patrocinio di Società italiana di pediatria (Sip), Associazione italiana Anderson-Fabry (Aiaf), Associazione italiana Gaucher (Aig), Associazione italiana mucopolisaccaridosi (Aimps) e Cometa Asmme, Associazione studio malattie metaboliche ereditarie.
“Nel 2015 la Regione Veneto – ricorda Burlina – ha deliberato una legge per l’inizio dello screening neonatale esteso per queste quattro patologie. Ad oggi nel Triveneto abbiamo screenato più di 250mila neonati. Si tratta della casistica più importante d’Europa. Quello che colpisce dai dati emersi è la frequenza dei casi con 1 neonato affetto ogni 4mila nati. Da qui, l’importanza dello screening per arrivare precocemente alla diagnosi”. Un “altro dato”, altrettanto importante, “ci dice che questi neonati riconosciuti hanno potuto iniziare un percorso terapeutico complesso, basato sia sull’infusione dell’enzima mancante sia, in alcuni casi, l’utilizzo del trapianto del midollo osseo con risultati che direi stupefacenti rispetto alla gravità della patologia”.
Per quanto riguarda la mucopolisaccaridosi di tipo primo “siamo riusciti a sottoporre a trapianto entro i primi 6 mesi di vita alcuni pazienti che ora sono totalmente normali – assicura l’esperto -. In merito alla malattia di Pompe, che dava una gravissima cardiomiopatia che portava a morte, nessuno dei pazienti diagnosticati con screening neonatale è deceduto. Tutti vivono. Sono risultati che fanno riflettere perché questo screening è limitato a poche aree geografiche”.
Il processo di screening per le patologie lisosomiali “è differente dall’approccio che noi utilizziamo per lo screening delle altre patologie previste dalla legge 167 del 2016 – tiene a precisare Burlina – Direi che è più complesso, si basa anche su tecniche diagnostiche che devono essere complete dal punto di vista laboratoristico, significa avere anche delle attrezzature molto sofisticate, non basta utilizzare percorsi già presenti per altre patologie”. Questo tipo di tecnica “ha anche carattere d’urgenza differente rispetto ad altri tipi di screening neonatale, per cui bisognerebbe anche pensare a macroaree per estendere lo screening alle patologie lisosomiali” conclude.
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