Neurologo Rossini: ‘La musica della giovinezza aiuta contro la demenza’
Roma, 10 feb. (Adnkronos Salute) – Ascoltare la musica della giovinezza aiuta contro la demenza. Lo sostiene Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele, secondo il quale “le emozioni prodotte dall’ascolto di musica amata durante la giovinezza resisterebbero sia all’Alzheimer, che alla demenza”. “È noto come l’ascolto musicale abbia effetti protettivi verso i processi di neurodegenerazione – spiega il neurologo – che sottostanno le varie forme di demenza, tra cui la più diffusa e nota che è appunto l’Alzheimer”. La conferma arriva anche da “un recente studio della Northwestern University (Usa) – aggiunge Rossini – realizzato in collaborazione con l’Institute for Therapythrough the Arts (ITA) e pubblicato su Alzheimer Disease and Associate Disorders”.
La demenza è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva compromissione di uno o più domini cognitivi, come la memoria, l’attenzione, le funzioni esecutive e il linguaggio. E in questi giorni dominati dalla visione e dagli ascolti del Festival di Sanremo, con la musica che riempie le case, nella Rsa del Gruppo San Raffaele di Roma sono in corso laboratori di musicoterapia volti alla stimolazione cognitiva dei pazienti affetti da varie forme di declino cognitivo tra cui l’Alzheimer, attraverso l’ascolto di canzoni che sono state spesso colonne sonore della loro vita e cantanti interpreti delle loro risate e delle loro lacrime.
“Dal 2001 – ricorda Rossini – la musica è stata introdotta come tecnica non farmacologica per migliorare le funzioni cognitive e, in particolare, i disturbi comportamentali nei pazienti con demenza”. La sua efficacia terapeutica “sembra basarsi sulla preservazione della memoria musicale anche in fasi più avanzate di malattia, grazie a cui il paziente con demenza sembra conservare intatte le abilità e competenze musicali fondamentali, intonazione, sincronia ritmica, senso della tonalità”.
Secondo l’esperto, “i circuiti cerebrali che sottostanno il linguaggio parlato/ascoltato e il linguaggio musicale sono in parte sovrapponibili” ma è” frequente l’osservazione che a fronte di un danno consistente del linguaggio parlato, quello musicale e il canto di testi musicali sono molto meno danneggiati”. La musica ha un effetto per lo più “calmante nei confronti di sintomi comportamentali, quali agitazione psico-motorie e aggressività in pazienti con demenza – sottolinea -. Inoltre, i circuiti musicali hanno collegamenti molto stretti con quelli dedicati alla memoria. In particolare, analogamente ai ricordi delle prime fasi della propria vita (infanzia e gioventù) che scompaiono per ultimi, anche i ricordi delle canzoni in voga negli anni della nostra gioventù permane molto a lungo”.
Dunque, sentire e cantare queste canzoni aiuta a controllare “i momenti di agitazione e richiama l’attenzione (spesso molto ondulante e capricciosa) del malato. Per motivi solo in parte chiariti, le memorie autobiografiche vengono maggiormente e più a lungo conservate rispetto ad altri tipi di memorie, per esempio quelle derivanti dall’osservazione di fotografie della propria infanzia/gioventù, nei malati di Alzheimer”, conclude Rossini.
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