Rischio microplastiche da portavivande in plastica nel microonde
Milano, 23 mag. (Adnkronos Salute) – La ‘schiscetta’, per dirla alla milanese, va trattata con rispetto. Se il portavivande è in materiale plastico e viene scaldato in modo inappropriato al microonde, c’è il rischio che rilasci microplastiche nell’ambiente. Lo dimostra uno studio coordinato dall’università Statale di Milano in collaborazione con l’università di Milano-Bicocca, condotto in Eos, un’azienda che sviluppa una tecnologia detta Spes per la caratterizzazione ottica delle polveri, ideata nei laboratori di fisica di UniMi. La ricerca è pubblicata sulla rivista ‘Particles and Particle Systems Characterization’.
L’idea di verificare se i contenitori alimentari in plastica scaldati al microonde rilasciassero micro e nanoplastiche – spiegano da Statale e Bicocca – è partita da Eos, che ha utilizzato la tecnologia Spes evidenziando la formazione sistematica di nano e microsfere di plastica durante il riscaldamento di acqua pura, un esperimento controllato volto a simulare quanto avviene durante il riscaldamento del cibo. “Spes è un metodo innovativo che permette di classificare nano e micro particelle in maniera molto precisa e completa”, afferma Marco Pallavera, direttore Ricerca & Sviluppo di Eos, ideatore del protocollo di misura usato nello studio e primo autore dell’articolo. “Lo studio, iniziato quasi per curiosità – sottolinea Tiziano Sanvito, che amministra Eos dalla sua fondazione nel 2014 – ha subito mostrato l’adeguatezza del nostro metodo a costruire un protocollo solido e affidabile per il problema in studio”.
“I dati presi da Eos hanno mostrato subito una forte solidità, fondamentale per approcciare un problema delicato come questo”, conferma Marco Potenza che ha inventato la tecnica Spes, docente di Ottica del Dipartimento di Fisica UniMi, responsabile del Laboratorio di strumentazione ottica e direttore del Cimaina (Centro interdipartimentale materiali e interfacce nanostrutturati). Dopo molti controlli incrociati sulle procedure sperimentali, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che in effetti, “riscaldando acqua pura nei contenitori alimentari, si liberano nano e microsfere composte del materiale di cui è costituito il contenitore stesso: il polipropilene, un materiale biocompatibile che ha la caratteristica di fondere tra i 90 e i 110 °C. Portando l’acqua a ebollizione, quindi, una piccola parte di polipropilene si fonde per poi solidificare nuovamente in acqua”.
I risultati – riporta una nota – sono stati analizzati e studiati nel dettaglio anche da Llorenç Cremonesi e Claudio Artoni del laboratorio EuroCold, presso il Dipartimento di Scienze dell’ambiente e della Terra di UniMiB, e corredati di immagini al microscopio elettronico prese da Andrea Falqui, docente del Dipartimento di Fisica della Statale.
“E’ interessante notare – precisa Sanvito – che diversi produttori specificano di non portare i contenitori oltre i 90 °C, oppure di non riscaldarli per troppo tempo nel microonde, oppure ancora di non usare l’apparecchio alla massima potenza. Quindi, seguendo queste indicazioni, l’effetto non si verifica”. Viceversa, conclude Potenza, “le nano e micro-particelle prodotte andranno a contribuire alla dispersione di plastica in ambiente che caratterizza il mondo moderno”.
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