Arabi che non vogliono la guerra, parla Alberto Gasparetto
A un mese dall’attacco di Hamas sono in moltissimi gli arabi che non vogliono una guerra. Ce lo spiega Alberto Gasparetto, esperto di Scienza politica
| Esteri
Arabi che non vogliono la guerra, parla Alberto Gasparetto
A un mese dall’attacco di Hamas sono in moltissimi gli arabi che non vogliono una guerra. Ce lo spiega Alberto Gasparetto, esperto di Scienza politica
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A un mese dall’attacco di Hamas sono in moltissimi gli arabi che non vogliono una guerra. Ce lo spiega Alberto Gasparetto, esperto di Scienza politica
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A un mese dall’attacco di Hamas sono in moltissimi gli arabi che non vogliono una guerra. Ce lo spiega Alberto Gasparetto, esperto di Scienza politica
A un mese dall’attacco di Hamas contro Israele la portata dell’azione dei miliziani appare in tutta la sua evidenza, con ripercussioni non soltanto in Medio Oriente. Il rischio di una guerra regionale potrebbe però non essere nell’interesse neppure di quei Paesi arabi (come Giordania, ma soprattutto Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) che ora la paventano per motivi economici. «Negli ultimi anni è stato avviato il progetto del Forum per il Mediterraneo del gas orientale, l’East Mediterranean Gas Forum. I suoi attori sono Israele, Egitto ma anche Giordania, Autorità nazionale palestinese e Grecia, a cui si sono aggiunte Francia e Italia» spiega Alberto Gasparetto, esperto di Scienza politica e Cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova. «Sono Paesi che dal 2009 cooperano per la ricerca di giacimenti di gas. La crisi in Palestina minaccia però questa attività: fintanto che Israele proseguirà con la sua iniziativa militare, diretta contro Hamas ma con l’inevitabile coinvolgimento di una popolazione araba, sarà difficile che la Giordania o l’Egitto possano continuare in questo progetto». Il grande escluso è invece la Turchia, «a causa dell’atteggiamento aggressivo sia in diversi contesti in Medio Oriente sia nel Mediterraneo». Proprio il Mare Nostrum rischia di diventare ancora di più una «polveriera», come sottolinea Gasparetto, co-curatore con Michela Mercuri del recente libro intitolato proprio “Polveriera Mediterraneo”. L’Italia ha due unità navali della Marina militare (“Fasan” e “Margottini”) al largo delle coste del Libano, ma ci sono anche le due portaerei “Cavour” e “Garibaldi” che operano poco distanti. Gli stessi Stati Uniti da un lato lavorano a livello diplomatico, con gli incontri del segretario di Stato americano Anthony Blinken, dall’altro hanno dispiegato due superportaerei e un sottomarino nucleare, trasferito dalla base di Holy Loch in Scozia. «Stiamo assistendo a una netta spaccatura all’interno di un fronte che sembrava si stesse ricomponendo negli ultimi anni, anche grazie agli Accordi di Abramo che hanno coinvolto Paesi come gli Emirati Arabi Uniti (a loro volta interessati al gas del Mediterraneo orientale), il Bahrein e l’Arabia Saudita» spiega Gasparetto. «Si trattava di un riavvicinamento diplomatico di fronte al riconoscimento dello Stato di Israele, sulla scorta degli accordi siglati nel 1994 con la Giordania e ancor prima nel 1979 con l’Egitto». Nonostante il lancio di razzi anche da parte dello Yemen, sembra però difficile che si arrivi a una guerra allargata all’intera area mediorientale: «La guerra in Yemen va avanti da oltre otto anni. Anche lì si gioca una partita che qualcuno ritiene ‘confessionale’ all’interno del mondo islamico ma che in realtà è geopolitica per il controllo della regione, che in questo caso vede contrapposti Iran e Arabia Saudita» prosegue Gasparetto. «Gli scenari di crisi sono quindi numerosi e potrebbero estendersi. Ma credo che esistano anche molti ‘anticorpi’ nelle potenze arabe e che non ci sia la volontà di arrivare a una guerra regionale, soprattutto per i motivi economici ed energetici detti prima. Gli interessi in gioco legano fra loro tutti gli attori in campo». di Eleonora Lorusso
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