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Armamentario

Quali sono le conseguenze politiche dell’ormai stagnante conflitto russo-ucraino? Tra evidenze e nuovi progetti, ci spostiamo sul piano del “fare”

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Quali sono le conseguenze politiche dell’ormai stagnante conflitto russo-ucraino? Tra evidenze e nuovi progetti, ci spostiamo sul piano del “fare”

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Quali sono le conseguenze politiche dell’ormai stagnante conflitto russo-ucraino? Tra evidenze e nuovi progetti, ci spostiamo sul piano del “fare”

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Quali sono le conseguenze politiche dell’ormai stagnante conflitto russo-ucraino? Tra evidenze e nuovi progetti, ci spostiamo sul piano del “fare”

Partiamo dalle evidenze. È evidente che gli ucraini da oltre due anni si stanno difendendo dall’invasione russa con le armi fornite loro dall’Occidente. È ovvio che nelle incursioni in territorio russo i militari di Kiev impiegano oggi quelle armi per colpire obiettivi ritenuti strategici negli equilibri del conflitto, come raffinerie, depositi di petrolio e siti militari. È inoltre altrettanto evidente che l’Ucraina potrà proseguire la sua battaglia di resistenza se l’Occidente continuerà ad assisterla.

Ciò che non è invece evidente è il perché Josep Borrell – spagnolo, vice presidente della Commissione Ue e Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione – abbia avvertito l’esigenza di parlare sull’ovvio (perché già accade) finendo con lo spaccare le posizioni all’interno dell’Ue ma soprattutto non riuscendo a dare una prospettiva politica per il futuro al sostegno occidentale di Kiev. «Le restrizioni all’uso delle armi date all’Ucraina devono essere revocate, ci deve poter essere pieno utilizzo per colpire obiettivi militari in Russia in linea con le regole internazionali», queste le parole di Borrell. In realtà è già così e insistere su un dibattito che è già superato dai fatti non è cosa utile. Per nessuno.

C’è chi ritiene che l’uscita dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera sul tema del colpire in Russia con armi occidentali sia stata un modo per attirare l’attenzione, ora che l’Ue va verso un nuovo governo. Premesso che il futuro di Borrell attiene a lui ma non alle sorti dell’umanità (gli auguriamo il meglio per la sua carriera), non può sfuggire che le sue parole sul conflitto in Ucraina sono state accompagnate da considerazioni (sbagliate) sulla situazione in Medio Oriente, con tanto di invito a sanzionare i ministri di Israele che «hanno lanciato messaggi d’odio o incitazione a commettere crimini di guerra contro i palestinesi».

Adesso lasciamo Borrell, cui abbiamo dedicato già troppe righe, e occupiamoci invece della questione politica rispetto alla guerra russa in Ucraina. Inizialmente la posizione occidentale è stata quella di difendere Kiev e i suoi territori senza colpire in Russia. Non perché – dagli Usa all’Ue, passando per la Gran Bretagna – fossero tutti allocchi ma per cercare di mantenere un canale aperto a una possibile tregua o a un dialogo con il presidente russo Vladimir Putin. Dopo due anni e mezzo di guerra è evidente che questa opzione politica non appare più praticabile e che il perdurare della guerra con centinaia di migliaia di morti ha spazzato via l’illusione che finisse presto. Questo andar del corso delle cose – ed è un punto geopolitico sostanziale – ha cambiato pure il ruolo occidentale nel sostegno a Kiev rispetto all’impiego delle armi americane ed europee e, di fatto, ha mutato il ruolo della Nato.

Il che non significa che l’Alleanza Atlantica debba dichiarare guerra alla Russia, bensì che la politica (e non la tattica militare) dell’Europa e di Washington deve adesso cercare una nuova linea di possibile caduta per la fine del conflitto. Un vasto programma, avrebbe probabilmente chiosato il generale Charles de Gaulle, ma l’unico possibile. Per farlo è necessario anzitutto metter in chiaro ciò che andrebbe evitato se si vuole avvicinare la pace. La fine del sostegno occidentale a Kiev, ad esempio, è da evitare perché porterebbe non a una pace ma a una resa, lasciando Mosca convinta di poter avere con la forza ciò che altrimenti non otterrebbe.

Sul piano del fare potrebbe invece essere una opzione coinvolgere l’India (in buone relazioni con la Russia ma il cui primo ministro Narendra Modi è stato di recente in visita a Kiev, una visita d’amicizia elogiata dal presidente Usa Joe Biden) e tener relazioni con il cinese Xi Jinping (amico speciale dello zar) e anche con il turco Recep Tayyip Erdoğan (Ankara è Paese membro della Nato e la banca turca Ziraat, che appartiene allo Stato ed è la prima nel Paese in termini di attività, sta liquidando le operazioni in rubli e ha smesso di aprire i conti in moneta russa) al fine di intavolare una via di discussione con Putin. Il condizionale è d’obbligo visto che da Mosca, sino a ora, non sono mai arrivati concreti segnali per una possibile tregua.

di Massimiliano Lenzi

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