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Biden e Trump: dibattersi

Il duello catastrofico fra Donald Trump e Joe Biden ha dimostrato solo una cosa: che la politica americana è in crisi e ha un problema. Anzi, due

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Biden e Trump: dibattersi

Il duello catastrofico fra Donald Trump e Joe Biden ha dimostrato solo una cosa: che la politica americana è in crisi e ha un problema. Anzi, due

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Biden e Trump: dibattersi

Il duello catastrofico fra Donald Trump e Joe Biden ha dimostrato solo una cosa: che la politica americana è in crisi e ha un problema. Anzi, due

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Il duello catastrofico fra Donald Trump e Joe Biden ha dimostrato solo una cosa: che la politica americana è in crisi e ha un problema. Anzi, due

Gli Stati Uniti hanno un problema. Anzi: l’Occidente ha un problema, visto che senza gli Usa salterebbero equilibri geopolitici e deterrenze militari. Il problema si è materializzato nel dibattere in televisione, giovedì, fra il candidato democratico e presidente attuale Joe Biden e lo sfidante (ed ex presidente) Donald Trump.

Non si tratta soltanto di una sfida già vista e frizzata – nei suoi contorni, negli argomenti e nelle sue prevedibilità – a quella di quattro anni fa. No, fosse così sarebbe questione di remake e le democrazie occidentali (Stati Uniti compresi) ne han già visti in passato. Stavolta si tratta di loro due, Joe Biden e Donald Trump, al punto che il dibattere americano adesso li riguarda.

Il primo è apparso stanco, quasi sfinito, tanto da far interrogare gli stessi democratici su un cambio in corsa nella sfida alla Casa Bianca. Biden per ora sembra non volerne sapere al punto che, finito il duello tv con Trump, avrebbe commentato che è andata bene. La stragrande maggioranza degli americani si sta chiedendo che film abbia visto, dato che un sondaggio della Cnn (l’emittente che ha trasmesso il dibattito) registra un 67% di spettatori convinti che abbia vinto Trump. Che la situazione per i democratici sia seria ma di non facile disbroglio, lo si evince anche da un commento schietto ma duro sul “The New York Times” dell’editorialista Thomas Friedman, che non ha certo simpatie repubblicane (e tantomeno trumpiane): «Biden è un mio amico ma deve abbandonare la corsa» ha annotato.

Che un passo di lato di Biden sia la soluzione migliore per i democratici sarebbe ovviamente da vedere, considerato che un cambio in corsa potrebbe essere anche visto come una scelta interna alle élite democratiche (in Italia si direbbe una mossa di Palazzo). Quel che appare però certo in queste ore è che dopo la sfida in tv gran parte dell’establishment democratico vedrebbe una sua sostituzione come il male minore, in una fase in cui gli Usa sono impegnati (insieme agli alleati occidentali) in sfide globali complicate, dalla guerra russa in Ucraina alla crisi in Medio Oriente e alle tensioni (geopolitiche ma anche commerciali) con la Cina. Considerato poi che il voto per le presidenziali si terrà a novembre, di tempo per decidere in casa democratica non ce n’è molto.

Detto di Biden, veniamo a Donald Trump. Di certo assai più brillante e reattivo nel talk, al punto da non aver avuto bisogno neppure di rimarcare la fragilità di Biden (a parte in un passaggio, quando ha sottolineato di non aver capito cosa avesse detto il rivale e aggiungendo di seguito un «Ma non l’hai capito neanche tu»). Il fatto, al di là della reattività, è che Trump è il solito Trump, convinto di far pace in Ucraina in un batter d’occhio senza spiegare come (o proponendo cosa in cambio alla Russia di Putin). È un Trump che ripropone le vecchie ricette di quando andò alla Casa Bianca otto anni fa, un Trump con le sue contraddizioni e i suoi ingombri.

Che gli Stati Uniti, in uno dei momenti più tragici del mondo dalla fine della Guerra fredda in avanti, debbano scegliere fra lui e Biden è un problema per loro, per noi ma anche un segno della crisi politica americana. Una nazione dove il ricambio, anche generazionale, delle élite è sempre più lento e dove spesso si ripropongono saghe (vedasi i Clinton o i Bush) o soliti ritorni, nel caso di Biden e di Trump. Che in queste ore – mentre è già cominciato e prosegue in casa democratica il pressing su Biden affinché faccia un passo indietro (con la speranza che a convincerlo s’impegni sua moglie Jill) – il nome in cui i vertici dem sperano sia ancora quello di Obama, stavolta declinato in Michelle (la moglie di Barack), la dice lunga su come l’America non sia più quel Paese dove in politica chiunque, se bravo e di talento, poteva farcela.

Non è questione di nostalgia, sentimento da romanzo. È questione di fare i conti, senza alibi, con un problema. Anzi due.

di Massimiliano Lenzi

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