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Cicatrice atlantica: Trump, Putin e la crisi della fiducia occidentale

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Un qualsiasi negoziato con Putin non può che nascere da un presupposto: l’Occidente, e segnatamente gli Stati Uniti di Trump, non molleranno l’Ucraina

Cicatrice atlantica: Trump, Putin e la crisi della fiducia occidentale

Un qualsiasi negoziato con Putin non può che nascere da un presupposto: l’Occidente, e segnatamente gli Stati Uniti di Trump, non molleranno l’Ucraina

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Cicatrice atlantica: Trump, Putin e la crisi della fiducia occidentale

Un qualsiasi negoziato con Putin non può che nascere da un presupposto: l’Occidente, e segnatamente gli Stati Uniti di Trump, non molleranno l’Ucraina

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L’approccio accondiscendente e plaudente è già stato provato. Non è che non abbia dato risultati, è che sono stati negativi. A Ferragosto fece impressione vedere il presidente americano applaudire il presidente russo, ma gli estimatori del primo proposero di attendere, che presto si sarebbero visti i frutti. Quel che s’è visto è un Putin che intensifica i bombardamenti, al punto – per non doverne dedurre un Trump ammaliato e raggirato – da indurre a chiedersi cosa ci sia di non conosciuto che possa determinarlo a subire umiliazioni di quella portata. Di quel passo anziché un arco di trionfo gli costruiscono un rettilineo per il tonfo. Da allora, però, ci sono stati i 20 punti più o meno sinceramente sottoscritti, la restituzione degli ostaggi vivi (alcuni cadaveri se li sono persi, che Hamas è un insieme di bande terroristiche) e il cessate il fuoco a Gaza. Il Trump della prossima partita con Putin potrebbe avere – per usare il suo linguaggio – più carte. Sempre che l’altro sia l’avversario e non il subìto sodale.

Non c’è bisogno di cadere nell’eccesso opposto, ma un qualsiasi negoziato con Putin non può che nascere da un presupposto: l’Occidente, e segnatamente gli Stati Uniti, non molleranno l’Ucraina al suo destino, considerandolo in gran parte il proprio. Se questo punto è fermo, ne discende che la guerra durerà ancora a lungo, sfinendo le parti ed esaltando il pantano in cui la Russia s’è cacciata. Dopo di che il negoziato avrà aspetti che piaceranno e dispiaceranno, ma sarà esistente quel che fin qui Putin ha reso inesistente. Anche con la complicità di Trump, cui deve non poco nell’essersi potuto permettere di provocare e provare a intimidire noi europei.

Comunque vadano le cose quella è una ferita che si spera diventi presto cicatrice, ma resterà una cicatrice nei rapporti atlantici. Non che la Casa Bianca non abbia buoni argomenti e non abbia fatto giuste reprimende, ma l’avere paventato l’abbandono della difesa comune e l’avere ripetuto interventi di chiaro significato anti europeo è stata un’offesa alla storia statunitense, quindi occidentale. Averlo fatto in nome del ritorno a una (supposta) passata grandezza è stata una piccolezza cui non eravamo avvezzi.

Fatto è che, dopo Ferragosto, Putin s’è convinto di avere mano libera e non riuscendo a vincere la guerra che ha scatenato in Ucraina s’è messo a diffondere la paura fra gli europei. Quel che accade in Germania ne è una dimostrazione. Da noi se ne parla meno, ma è pur vero che abbiamo passato un paio di settimane a parlare di una Flotilla che molti cittadini europei neanche hanno sentito nominare e neanche lontanamente sospettano (giustamente) abbia avuto un qualsivoglia ruolo a Gaza.

L’altra faccia di questa medaglia, nei rapporti con Putin, consiste nel cambiare quelli con l’Ucraina: un’altra villania nello Studio Ovale avrebbe avuto il peso di un bombardamento. Neanche lì serve e non è accaduto che si ribalti tutto e ci sta che gli Usa sostengano che il negoziato non può portare alla ripresa della Crimea (come gli ucraini legittimamente chiedono). Ma serve che un punto sia chiaro e netto: il fuoco lo cessa chi lo ha aperto, ovvero Putin, e il negoziato inizia senza altra condizione che non sia la restituzione dei bambini ucraini rapiti.

Sergey Karaganov, cortigiano al Cremlino, ci tiene a sostenere che «un grande Paese ha bisogno di un’ideologia di Stato». Va ringraziato per questo avviso, che ci ricorda come da Mosca, per tutta la seconda metà del secolo scorso, s’è provato – con la forza e con la corruzione – a trasferire anche dalle nostre parti la loro ideologia di morte, fame e dittatura denominata “comunismo”. Hanno perso. Perché quello che i Karaganov non riescono a capire è che la libertà, anche dagli zoo ideologici, è assai più forte. Se consapevole.

La cicatrice sarà tale se anche gli amici americani ricorderanno a sé stessi questa antica, solida e delicata verità democratica.

di Davide Giacalone

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