Cortei che negano l’evidente
Cortei che negano l’evidente. Sono i fatti a parlare, quelli che in molti cortei non trovano spazio, perché troppo scomodi a determinate letture
| Esteri
Cortei che negano l’evidente
Cortei che negano l’evidente. Sono i fatti a parlare, quelli che in molti cortei non trovano spazio, perché troppo scomodi a determinate letture
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Cortei che negano l’evidente. Sono i fatti a parlare, quelli che in molti cortei non trovano spazio, perché troppo scomodi a determinate letture
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Cortei che negano l’evidente. Sono i fatti a parlare, quelli che in molti cortei non trovano spazio, perché troppo scomodi a determinate letture
Nel fine settimana fonti ‘ufficiose’ dell’intelligence militare francese sono state autorizzate dal presidente Emmanuel Macron a parlare con l’agenzia “Reuters” – una delle più autorevoli al mondo – per fornire le prove documentali della responsabilità dei terroristi della Striscia di Gaza nella tragica esplosione dell’ospedale Al-Ahli. Non c’entrano gli israeliani, in base a un’analisi del tipo di esplosione e delle sue conseguenze nel parcheggio del nosocomio dove si è sviluppata e si sono registrati i morti. Esattamente quello che aveva sostenuto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden incontrando il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Un’assunzione di responsabilità da parte del capo della Casa Bianca che soltanto osservatori molto disattenti o particolarmente interessati possono aver derubricato a una dichiarazione ‘leggera’, buona a scagionare ‘sulla fiducia’ l’alleato israeliano. Fossero emerse tragiche responsabilità di Tel Aviv, il boomerang per Joe Biden – così ora per Emmanuel Macron, che ha fatto parlare i suoi uomini non casualmente a 72 ore dalla visita in Israele – sarebbe stato devastante. Perché le opinioni pubbliche delle democrazie liberali non fanno sconti e il conto prima o poi si paga. Non certo a caso, lo stesso Biden ha invitato Israele a non commettere gli stessi errori degli statunitensi dopo l’11 settembre.
Eppure, nulla di tutto ciò basterà mai a convincere gli inveterati nemici interni dell’Occidente. I tragici fatti dell’ospedale di Gaza City sono uno spettacolare esempio di come il preconcetto e il pregiudizio muovano certe menti. Chi sfila nelle piazze e nelle vie italiane intonando inascoltabili cori antisemiti inneggianti ai tagliagola di Hamas, chi brandisce striscioni in cui il termine “Olocausto” viene accostato alle ‘colpe’ dello Stato di Israele, chi si spinge a mostrare un’oscena fotografia di Anna Frank in kefiah – arruolandola nella propaganda della distruzione dello Stato ebraico – non è minimamente interessato alla verità. Vogliamo parlare di verità storiche? I nazisti che deportarono e uccisero Anna Frank come altri 6 milioni di ebrei erano appoggiati da buona parte del mondo arabo, al punto che Mussolini (sodale di Hitler) poté brandire spudoratamente “la spada dell’Islam”. Non conta la verità, le ricostruzioni oggettive sono un fastidio intollerabile per chi ritiene di poter già distribuire le colpe. Senza un moto di vergogna per l’appoggiare nei fatti Hamas (come se non fosse già troppo) ma anche l’Iran, la ‘Repubblica’ in cui le ragazze vengono ridotte in morte cerebrale per essersi tolte il velo in metro e i gay buttati giù dai palazzi. I sunniti di Hamas e gli sciiti al potere in Iran soltanto su una cosa saranno sempre d’accordo: morte a Israele.
Che a frenare la reazione israeliana, ad appellarsi a una gradualità nella risposta militare e a non cadere nella trappola mortale tesa da Hamas siano stati tutti i leader occidentali non viene neppure notato. Dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, passando per il primo ministro britannico Sunak, hanno confermato il diritto alla difesa e alla reazione contro i terroristi ma sottolineato con forza la necessità di salvaguardare per quanto possibile i civili. Non sono dichiarazioni per scaricarsi la coscienza con gli elettori di casa propria, perché se Israele non ha attaccato ancora via terra e probabilmente sta mutando le stesse linee tattiche lo si deve esclusivamente alla diplomazia occidentale. In massima parte a quella statunitense.
Sono i fatti a parlare, quelli che nei cortei “per la Palestina” non trovano spazio, perché troppo scomodi a determinate letture. In Israele è in corso un dibattito doloroso ma necessario e approfondito sul dopoguerra. Su come gestire la Striscia, sottraendo 2 milioni di palestinesi al tallone di terroristi sanguinari e del tutto disinteressati al loro destino. Nei Paesi pronti ad accusare Israele senza prove l’idea stessa del dibattito è invece bandita.
di Fulvio Giuliani
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