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La battaglia di Bachmut e l’orrore negli occhi dei bambini

Enormi sono le vite perse dall’una e dall’altra parte nella città di Bachmut, indispensabile per attaccare Kramators’k. Un massacro che non cesserà finché Putin vorrà mantenere la promessa di conquistare il Donbass
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La battaglia di Bachmut e l’orrore negli occhi dei bambini

Enormi sono le vite perse dall’una e dall’altra parte nella città di Bachmut, indispensabile per attaccare Kramators’k. Un massacro che non cesserà finché Putin vorrà mantenere la promessa di conquistare il Donbass
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La battaglia di Bachmut e l’orrore negli occhi dei bambini

Enormi sono le vite perse dall’una e dall’altra parte nella città di Bachmut, indispensabile per attaccare Kramators’k. Un massacro che non cesserà finché Putin vorrà mantenere la promessa di conquistare il Donbass
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Enormi sono le vite perse dall’una e dall’altra parte nella città di Bachmut, indispensabile per attaccare Kramators’k. Un massacro che non cesserà finché Putin vorrà mantenere la promessa di conquistare il Donbass
Il fiume Bachmutka divide la città di Bachmut sull’asse Est-Ovest. Le rovine dei due ponti che lo superano – quello ferroviario a Nord e quello stradale a Sud – ingombrano ormai le sue rive come cumuli di macerie. Sono acciaio divelto e cemento frantumato già da settembre, ma gli assalti alla cittadina sono iniziati tempo prima. Gli oltre settantamila abitanti della città hanno conosciuto il suono dell’artiglieria moscovita già a maggio, quando un bimbo di appena due anni venne falciato dai bombardamenti. La condizione del fronte non ha permesso un assalto diretto alla città se non mesi più tardi. Le truppe della compagnia di mercenari Wagner di proprietà di Prigožin hanno dovuto infatti risolvere per primo il problema della roccaforte ucraina di Popasna, situata più a Sud. Posta sui confini della guerra del 2014, la cittadina donbasiana si è rivelata una fortezza impermeabile agli assalti dei mercenari. I reparti che riuscivano a superare la selva di mitragliatrici, mine e cecchini raggiungendo così i bunker dei difensori si trovavano dinanzi soltanto delle porte chiuse. Dal riparo sotterraneo i soldati di Kyïv richiedevano infatti il tiro dei mortai pesanti sulle loro posizioni – già note – e dei tagliagole all’attacco non rimanevano che poche frattaglie. Per ovviare al problema, la cittadina è stata rasa al suolo dai russi, costringendo così la guarnigione ucraina a indietreggiare. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “CRONACHE DI GUERRA” Dopo Popasna sono state le truppe cecene e regolari russe ad assicurare il controllo delle città gemelle di Lysyčans’k e Sjevjerodonec’k – poco più a Nord-Est – respingendo, con gravi perdite, il contrattacco dei reggimenti ucraini. Questa operazione ha assicurato loro l’ultimo fianco necessario all’inizio delle operazioni su Bachmut, ma in entrambi i casi le Z truppen hanno mancato un obiettivo fondamentale: le truppe giallazzurre sono infatti riuscite a evitare l’accerchiamento, ritirandosi nelle linee difensive approntate in precedenza. Un dettaglio riportato nei nostri articoli e rimarcato da alcuni fra i commentatori zetisti più realisti. Come risultato di questo fallimento strategico russo la guarnigione della città ha raccolto buona parte di quei combattenti veterani, motivati ora a non far avanzare più l’invasore. Quando lo scorso primo agosto i primi wagneriti si sono avvicinati in armi alla periferia della città ad attenderli hanno trovato una difesa accanita. Il vantaggio materiale degli attaccanti – che talvolta sfiorava un rapporto di cinque a uno – si è eroso su file successive di trincee che hanno permesso una difesa flessibile e contrattacchi rapidi. Neppure la superiorità dell’artiglieria del Cremlino, ancora preponderante nella zona, è riuscita in questi ultimi cinque mesi a modificare l’equilibrio sul campo e, nonostante le perdite pesanti subite da entrambi gli schieramenti, la situazione è tuttora pressoché immutata. L’importanza della città rimane però enorme, in quanto è indispensabile per assicurare a Mosca il controllo dell’intera oblast’ di Donec’k. È quindi impossibile che il massacro termini fino a quando il criminale Putin si ostinerà a voler mantenere la promessa di «liberare il Donbas dal regime di Zelens’kyj».

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