Per “liberare” il Donbass lo hanno raso al suolo
Continua la distruzione del Donbass a opera dell’esercito di Mosca. Le forze del Cremlino – seppur con risultati altalenanti, sanguinosi e persino umilianti – hanno rosicchiato chilometro per chilometro il controllo di suolo di Kyiv.
Per “liberare” il Donbass lo hanno raso al suolo
Continua la distruzione del Donbass a opera dell’esercito di Mosca. Le forze del Cremlino – seppur con risultati altalenanti, sanguinosi e persino umilianti – hanno rosicchiato chilometro per chilometro il controllo di suolo di Kyiv.
Per “liberare” il Donbass lo hanno raso al suolo
Continua la distruzione del Donbass a opera dell’esercito di Mosca. Le forze del Cremlino – seppur con risultati altalenanti, sanguinosi e persino umilianti – hanno rosicchiato chilometro per chilometro il controllo di suolo di Kyiv.
Continua la distruzione del Donbass a opera dell’esercito di Mosca. Le forze del Cremlino – seppur con risultati altalenanti, sanguinosi e persino umilianti – hanno rosicchiato chilometro per chilometro il controllo di suolo di Kyiv.
Il fiume Severskij Donec raggiunge tipicamente la sua piena durante le piogge di aprile ma anche dopo, in maggio, conserva una portata ragguardevole. I mille chilometri del suo letto partono dall’oblast russo di Belgorod per attraversare poi le regioni ucraine di Charkìv e del Donbass. Passato nuovamente oltreconfine, nel territorio di Rostov, il Donec confluisce finalmente nel fiume Don – d’altronde il suo nome è un diminutivo del fratello fluviale maggiore e in italiano suonerebbe “Donetto” – per poi sfociare nel golfo di Taganrog, nel ramo più settentrionale del Mar d’Azov. Il suo imponente bacino idrico è sempre stato fondamentale per gli insediamenti civilizzati intenzionati a domare la solitudine delle steppe dell’Est sin da quando, secoli fa, era ancora conosciuto col nome di “Tanai Minore” ma soprattutto nel tempo recente ha assicurato lungo il suo corso l’acqua indispensabile alle iniziative minerarie e industriali.
Non vi è quindi un fiume più adatto per simboleggiare la storica collaborazione tra le forze naturali e umane di quella regione del mondo e, dolorosamente, non vi è ora un più presente testimone dei massacri causati dal confronto tra russi e ucraini sulle sue rive. Il Donetto è quindi oggi l’asse più importante nella seconda fase dell’Operazione “Z” di Mosca, che ha ammassato tutto l’ammassabile per cercare di sfondare la resistenza dei reparti d’èlite del comando interforze ucraino lì stanziati. Le forze del Cremlino – seppur con risultati altalenanti, sanguinosi e persino umilianti (come il fallito guado dove sono morti più di 500 soldati dopo la distruzione dei pontoni a opera delle artiglierie ucraine) – hanno rosicchiato chilometro per chilometro il controllo di suolo di Kyiv in quest’area.
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Tendenzialmente, le truppe di Zelensky difendono l’area a Ovest e a Sud del fiume, mentre quelle generale Dvornikov si attestano nelle aree a Est e a Nord, con due eccezioni di nota: Izjum per parte russa e Sjevjerodonec’k per parte ucraina. Entrambe le città sono sotto la costante pressione delle artiglierie e le forze dei due schieramenti, ma mentre Izjum rimane ancora una testa di ponte sicura per le forze del criminale Putin, Sjevjerodonec’k è invece luogo di feroci bombardamenti e assalti. Le truppe russe attaccano infatti quest’ultima e, più a Sud, Toshkivka nella speranza di poter appianare questa piccola enclave ucraina dalla sponda ‘sbagliata’ del fiume, mentre con l’artiglieria bombardano intensamente Lysychansk, situata dall’altra parte del rio, per impedire l’arrivo di rifornimenti e disturbare le retrovie.
Il giornalista canadese Neil Hauer, lì sul luogo, testimonia un vero paesaggio infernale in terreni un tempo floridi e fertili: «Le truppe russe si trovano a 5 chilometri da Soledar, sulla strada tra Bakhmut e Lysychansk» riporta. «L’area intorno a Soledar è terrificante. Si vedono impatti recenti di artiglieria sulla strada, mentre continua lo scambio incessante di colpi a lunga gittata di entrambi gli schieramenti, molto vicini a noi. Veicoli militari e una manciata di civili terrorizzati percorrono il più velocemente possibile il percorso, cercando al meglio di scansare i crateri».
Come in molti altri luoghi, come Popasna, l’avanzata russa rischia di avere come unico risultato la conquista di ulteriori macerie. Se il piano della Federazione Russa era quello di estirpare la civiltà in luoghi in cui per secoli è prosperata, possiamo confermare che l’Operazione “Z” ha raggiunto in pieno il proprio obiettivo.
Di Camillo Bosco
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