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Dal fronte al Congresso Usa

Dal fronte al Congresso Usa

Importantissimo incontro di ieri tra Zelensky e Biden. Dimostrazione di coraggio e amore per la propria terra ma anche aperte al palcoscenico mondiale su posizioni democratiche.
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«Presidente, come mai è venuto in un posto così pericoloso?» «Se qui è pericoloso per me, lo è anche per questi ragazzi. Rischiare la vita, per chi ogni giorno dà la propria per noi, è un gesto dovuto». Questo è stato il breve scambio di parole tra il comandante Serhiy Cherevatey e il presidente Zelensky, accolto tra i soldati in prima linea a Bakhmut. «Ha dipinto la palette di emozioni più bella dentro i nostri cuori» aggiunge un soldato, visibilmente commosso e stupito da una visita tanto gradita quanto inattesa.

Sulle sponde del conflitto tra aggredito e aggressore s’è palesata nelle scorse ore la grande differenza tra l’uomo dell’anno e il perdente dell’anno. Mentre Zelensky, sprezzante del pericolo, decorava in prima linea i propri ragazzi al fronte sotto il fragore delle esplosioni, in un bunker di Rostov sul Don Putin premiava in Russia (dicendosi anch’egli in prima linea) quei funzionari delle regioni occupate che hanno svenduto coscienza, terra e onore al delirio rascista. Un terzo videomessaggio registrato da qualche parte nel Donbas veniva intanto diffuso sui social: Yevgeny Prigozhin, in lizza nella verticale al potere per il Cremlino e attuale proprietario della Wagner Pmc (Private Military Company, ma sarebbe più consono definirla Premiata Macelleria Criminale) invocava un confronto con Zelensky, accreditandosi pure lui a Bakhmut.

Sul vero fronte caldo un combattente chiede a Zelensky di consegnare a Joe Biden quella croce al valore a lui destinata, affidandogli anche una bandiera ucraina firmata da tutti i militari con lui in prima linea a Bakhmut, per riconoscenza al sostegno incrollabile dato dagli Stati Uniti all’Ucraina. Zelensky accetta, ribadendo che comunque il valoroso soldato riceverà una copia della sua meritata onorificenza. I tre video dominano la scena sui principali social network, tanto che – a sostegno di quel gesto – i familiari dei soldati al fronte iniziano a pubblicare centinaia di letterine di Natale in cui i figli chiedono missili e armi anziché dolcetti e giocattoli, affinché i loro papà possano continuare a difendere il Paese e la propria libertà. Nel frattempo in Russia il principale canale televisivo trasmette un malconcio Solovyev che si sostituisce a Dio invocando l’uso dell’atomica «per cancellare Sodoma e Gomorra».

Di ritorno dal fronte, Zelensky all’alba di ieri era già a Przemyśl in Polonia, diretto a Washington per incontrare Biden e ringraziare a nome del suo Paese il Congresso americano per lo straordinario sostegno ricevuto nei 300 giorni di criminale aggressione russa. Zelensky ha vinto ancora il gauntlet mediatico sul terreno di battaglia scelto da chi lo vorrebbe morto. Dopo decenni vissuti deprecando una classe politica corrotta e fortemente sostenuta da Mosca, l’Ucraina si riconosce oggi in politici giovani come lui, nei suoi ministri e nel sindaco di Kyiv Klitschko.

Persone innamorate della propria terra ma aperte al palcoscenico mondiale su posizioni democratiche, liberali ed euroatlantiche, che a vite agiate all’estero hanno preferito il giubbetto antiproiettile e un sogno impossibile.

 

di Giorgio Provinciali

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