Dove la desolazione viene chiamata pace
Leggere Tacito per scoprire l’orrore dell’imperialismo russo.
Dove la desolazione viene chiamata pace
Leggere Tacito per scoprire l’orrore dell’imperialismo russo.
Dove la desolazione viene chiamata pace
Leggere Tacito per scoprire l’orrore dell’imperialismo russo.
Leggere Tacito per scoprire l’orrore dell’imperialismo russo.
Popasna, Mariupol, Sjevjerodonec’k: «Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» («Dove fanno la desolazione, la chiamano pace»). La celeberrima condanna dell’imperialismo romano che Tacito fa pronunciare al generale caledone Calgaco si adatta alla perfezione, secoli dopo, all’avventura imperialista del regime dei siloviki. Mariupol è quindi presa. Le sue macerie fumanti e umide di sangue appartengono finalmente a Mosca, che può vantare due vittorie.
La prima – militare e pirrica – sancisce la presa del corridoio di terra tra il Donbass e la Crimea, che rende la seconda non più dipendente per gli approvvigionamenti civili e militari dal lungo e fragile ponte sullo stretto di Kerč’. Scriviamo pirrica perché la città costiera, che al 23 febbraio scorso contava mezzo milione di abitanti, ora dispone di soli pochi muri in piedi e di nessuna infrastruttura funzionante per il migliaio di residenti rimasti. Le numerosissime imprese che avevano sede nella sua zona economica speciale (tra le quali spiccavano le due mega acciaierie “Illich” e “Azovstal”) sono ormai un ricordo e l’amministrazione degli occupanti cerca grottescamente di dare una parvenza di normalità organizzando visite nell’unica scuola rimasta agibile.
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La seconda vittoria russa è, invece, quella della propaganda interna; perché seppur nessun occidentale con un minimo di raziocinio può bersi la stupidaggine degli ucraini popolo di nazisti – e già su queste pagine abbiamo scritto del vero significato di “nazista” per il Cremlino, che coincide con chi rinnega il proprio retaggio russo – i sudditi del criminale Putin ancora aspettavano le prove che i loro figli fossero morti per una causa giusta. Così, finalmente, sulle tv nazionali sono passate le immagini dei corpi degli irriducibili resistenti di Azovstal, arresisi solo per ordine diretto di Kyiv, e soprattutto di quei pochi che conservano sulla loro pelle qualche svastica e altre bestialità simili. Queste ‘prove’ video sono diventate icone sante da portare in processione mentale su tutti i punti della via Crucis che sta percorrendo l’economia ma soprattutto la reputazione della Russia post sovietica. «Siamo isolati. Siamo dei paria internazionali. Siamo più poveri. Ci manca lo zucchero e non abbiamo più accesso alle tecnologie moderne. Ma la nostra crociata è giusta!» si possono ora ripetere le babushke e i dedushki per consolare i loro animi afflitti.
La foglia di fico della denazificazione giustifica le immense sofferenze subìte per paradosso dalla zona più russofona dell’Ucraina, quella che sta combattendo duramente per non vedere dilagare sul proprio suolo il cancro della dittatura militare delle “Repubbliche popolari” donbassiane. Dopo Mariupol, anche Popasna (poco più a Nord) è stata distrutta per essere denazificata. E adesso sta per toccare a Sjevjerodonec’k, la cui difesa è aiutata dalle nuove artiglierie americane anche se è ancora difficile valutarne l’impatto decisivo, stante la fluidità e l’estensione del fronte.
Quel che è certo è che l’Ucraina ha immediato bisogno di ancora più armi affinché il moto tacitiano non diventi un requiem per una civiltà scomparsa.
di Camillo Bosco
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