Gli ingegneri della morte
In un giorno qualunque in Ucraina, lo scorso 14 gennaio, un missile russo squarcia un condominio a Dnipro: la tragedia di Svetlana
Gli ingegneri della morte
In un giorno qualunque in Ucraina, lo scorso 14 gennaio, un missile russo squarcia un condominio a Dnipro: la tragedia di Svetlana
Gli ingegneri della morte
In un giorno qualunque in Ucraina, lo scorso 14 gennaio, un missile russo squarcia un condominio a Dnipro: la tragedia di Svetlana
In un giorno qualunque in Ucraina, lo scorso 14 gennaio, un missile russo squarcia un condominio a Dnipro: la tragedia di Svetlana
Dnipro – Perdere tutto in un secondo. Un solo maledetto istante e svaniscono la famiglia, gli affetti. Quanto di più caro si ha al mondo non esiste più, se non nei ricordi. Svitlana non dimenticherà mai l’attimo in cui ha perduto il marito, due figli, una nipote, il genero e la nuora.
Il termine “trauma” deriva dal greco τραῦμα, cioè perforamento, trafittura. Quel che fece il missile russo che lo scorso 14 gennaio impattò contro un complesso residenziale di Dnipro, causando la morte di 46 persone di cui 6 bambini. Squarciando un palazzo di nove piani creò un vuoto terrificante in mezzo alle due strutture non collassate e uno non meno atroce nei cuori di chi, sopravvivendo a quella sciagura, fece appello a ogni sua forza per non tracollare egli stesso.
Quel giorno Svitlana aveva allestito la casa a festa perché sapeva che sua figlia Maryna sarebbe venuta a trovarla col genero da Odessa, dopo un anno trascorso lontani a causa della guerra. Insieme al marito aveva apparecchiato la tavola come si fa in Ucraina nelle giornate speciali, senza lasciare un solo centimetro di tovaglia sguarnito da squisiti manicaretti tipici della tradizione. Ansioso di riabbracciare la sorella, Oleksandr, il figlio di Svitlana, era appena arrivato con la moglie Yana e la figlia Hanna. A festeggiamenti in corso, Svitlana s’alza da tavola per andare in cucina a togliere la carne dal forno. Avvertendo un crepitio, per un’infinitesima frazione di secondo ferma le mani dal sollevare la pietanza: neanche il tempo di voltarsi e si ritrova a terra avvolta da detriti, calcinacci e una soffocante coltre di polvere. Il soffitto è crollato, seppellendo ogni cosa sotto le macerie.
Svitlana è atterrita, prova a muovere la testa ma il muro divisorio delle stanze le frana addosso. Un lungo silenzio scandito dalle pause dei respiri viene rotto dalle grida della figlia che, aggrappandosi ad alcune macerie, la implora: «Mamma, aiutami!». Svitlana ricorda lucidamente l’attimo in cui l’ha vista cadere nel vuoto, lì dinanzi a lei. Una violenta esplosione fa divampare un incendio al suo fianco, poi perde conoscenza.
Si risveglia in terapia intensiva, rendendosi conto che della sua vita non è rimasto nulla. Quel vettore di morte scagliato dalla Russia contro inermi civili ucraini ha inghiottito tutto, lasciandola unica superstite dell’intera sezione d’edificio collassata. Svitlana ricorda i gesti d’affetto del marito in pensione. Le volte in cui, seppur ammalato, usciva di casa per attenderla all’uscita dal lavoro. Gli abbracci della nipotina, le parole non dette. Il disperato grido d’aiuto di sua figlia.
L’angoscia di una fine decisa da remoto rende tragedie come quella di Dnipro drammaticamente vive, in Ucraina. Penso spesso all’inchiesta condotta da “Bellingcat”, “Insider” e “Der Spiegel” che ha svelato il coinvolgimento di diversi ingegneri freelance russi chiamati a collaborare col Gvc (il centro computazionale delle forze armate) nella programmazione della traiettoria balistica dei missili lanciati contro obiettivi civili in Ucraina. Killer informatici in abiti civili che, terminato il mio stesso percorso di studi, hanno accettato di mettere le proprie preziose conoscenze al servizio del Male.
di Giorgio Provinciali
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