Halena nell’inferno di Mariupol
“Ci siamo lavati nelle pozzanghere per mesi”, racconta Halena, una giovane sopravvissuta ucraina a Mariupol
Halena nell’inferno di Mariupol
“Ci siamo lavati nelle pozzanghere per mesi”, racconta Halena, una giovane sopravvissuta ucraina a Mariupol
Halena nell’inferno di Mariupol
“Ci siamo lavati nelle pozzanghere per mesi”, racconta Halena, una giovane sopravvissuta ucraina a Mariupol
“Ci siamo lavati nelle pozzanghere per mesi”, racconta Halena, una giovane sopravvissuta ucraina a Mariupol
Kyiv – Recandosi al lavoro, il 24 febbraio 2022 Halena nota uno sciame di vetture convergere verso il centro di Mariupol. Colonne di fumo s’avvicendano a boati tanto vicini da poterne sentire le vibrazioni. Rincasata, la giovane ucraina realizza di trovarsi nell’epicentro di un inferno trasmesso in diretta tv. «Telefonai ai genitori e poi ad alcuni conoscenti in Russia che negarono tutto, persino foto e video che gli mandavo in presa diretta. Alla fine smisero di rispondere» racconta la ragazza, confidandomi di non aver mai provato sensazioni tanto sgradevoli neppure durante l’invasione del 2014: «All’epoca ero adolescente ma ricordo bene il fragore dei missili Grad, l’ingresso dei russi in città e la loro cacciata quando a liberarci furono il reggimento Azov e la Guardia nazionale. Stavolta era diverso: non volevano conquistare Mariupol ma cancellarla».
I russi polverizzano anche le macerie. Linea telefonica, energia elettrica, gas, acqua corrente, cibo. Uno dopo l’altro vengono meno tutti i beni primari. Gli occupanti rapiscono il sindaco e lo seviziano: una prassi comune riservata agli opinion leader (persino a livello condominiale), sistematicamente sequestrati e malmenati. «Lasciati gli appartamenti ci rifugiammo negli scantinati» ricorda Halena. Confinata per mesi in pochi metri quadrati, così descrive il suo deperimento: «Eravamo come avvolti da una caligine di polvere e detriti, per cui – prima di berla – dovevamo depurare anche la poca neve sporca rimasta. Alcuni filtrarono perfino l’acqua rugginosa che fluisce nel circuito dei termosifoni. Valenten, un omone sulla cinquantina, era abilissimo a procacciare i piccioni. Più volte mi sforzai d’ingollarne qualche boccone, ma regolarmente vomitavo. Poi mi abituai.
La fame porta a ingerire di tutto, pure topi e animali domestici. Una sera l’onda d’urto d’una granata caduta in cortile scaraventò Valenten contro il cancello. Domato l’incendio, lo trovammo agonizzante. Una costola gli usciva dal petto. Resistette quattro giorni, poi lo sotterrammo in quello stesso patio scavando a mani nude. Chiunque tentasse d’allontanarsi veniva travolto da una raffica di fuoco. I corpi di alcuni vicini che ci provarono rimasero a terra per settimane. Dapprima i loro cani li sorvegliarono, poi li divorarono. La morte raggiunse quasi ogni famiglia».
Nel frattempo i russi smerciano insulina e farmaci vitali, rendendoli oggetto di baratti indecenti. I conti bancari vengono convertiti in rubli e disconnessi dal sistema Swift, precludendo aiuti esterni a quanti come lei sono già isolati: «Ci siamo lavati nelle pozzanghere per mesi, finché furono allestiti doccioni da campo accanto a grandi schermi che trasmettevano in continuazione cinegiornali propagandistici. Per lasciare Mariupol era necessario passare attraverso il “filtraggio”: file lunghe giorni per essere spogliati, interrogati e umiliati pubblicamente. I russi prendevano i calchi persino ai gomiti e fotografavano anche le parti intime per schernirci».
Separati dai genitori, parecchi bambini vengono così deportati in Russia per essere “rieducati”. Molti adulti finiscono stipati in autobus ridotti a rottami o nelle stanze della tortura. Durante l’assedio dell’Azovstal, alcuni di quei pullman verranno fatti esplodere carichi di civili: l’obiettivo era cancellare questa gente dalla faccia della Terra.
di Giorgio Provinciali
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