Il Cremlino annuncia una “pausa operativa”
Le perdite catastrofiche e gli obiettivi falliti portano le forze russe ad un rallentamento.
Il Cremlino annuncia una “pausa operativa”
Le perdite catastrofiche e gli obiettivi falliti portano le forze russe ad un rallentamento.
Il Cremlino annuncia una “pausa operativa”
Le perdite catastrofiche e gli obiettivi falliti portano le forze russe ad un rallentamento.
Le perdite catastrofiche e gli obiettivi falliti portano le forze russe ad un rallentamento.
«Non riteniamo che l’arrivo degli aiuti militari occidentali possa portare a cambiamenti significativi nel contesto dell’Operazione militare speciale che stiamo conducendo in Ucraina» proclamò qualche settimana fa il comando supremo russo. Ventidue depositi di munizioni dopo, distrutti grazie ai lanciamissili motorizzati Himars donati a Kyiv dagli Stati Uniti, il Cremlino annuncia una «pausa operativa».
Tra un «gesto di buona volontà» e un altro, è palese infatti quanto la tentata conquista del Paese dei Girasoli si sia rivelata costosa per Mosca. Secondo i calcoli ucraini, le perdite russe si aggirano ora intorno ai 37mila morti, a cui vanno sommati statisticamente tra il doppio e il triplo di feriti: la metà della colossale forza d’assalto iniziale sarebbe quindi in ospedale o sottoterra. Dal 24 febbraio più di 800 ufficiali dell’armata russa (tra cui 10 generali) sono morti e la squadra del ricercatore indipendente Stijn Mitzer ha pubblicato sul sito www.oryxspioenkop.com un elenco (confermato tramite prove fotografiche o video) di ben 848 carri armati russi distrutti, danneggiati, abbandonati o catturati dai soldati di Zelens’kyj. Non è tutto. Dopo aver mandato a morire ben il 60% dell’intera forza aviotrasportata russa, al generale Andrey Serdyukov è stata consegnata la lettera di licenziamento.
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Si capisce così perché anche il Kazakistan stia prendendo velocemente le distanze dalla Federazione Russa: dopo che i moscoviti hanno bloccato con un pretesto il terminal petrolifero di Novorossijsk, vitale per le esportazioni kazake, il presidente Toqaev ha sfilato il suo Paese dalla Comunità degli Stati Indipendenti. Questa era stata fondata dalla Russia dopo la caduta dell’Urss come una sorta di area di libero scambio: la perdita di un membro come il Kazakistan aumenta vertiginosamente l’isolamento russo.
Nata come una replica dell’operazione “Danubio” del 1968, l’operazione “Z” è quindi ormai conclamata come un sanguinoso pantano e sembra ormai difficile che lo Stato ucraino possa seguire il destino della Cecoslovacchia. In questo contesto vanno certo inquadrati gli annunci siloviki riguardo fantomatiche pause nelle operazioni belliche, che invece proseguono sottotraccia e sotto il segno del nervosismo più acuto. Negli oblast’ di Sičeslav e Zaporiggia, ad esempio, i ruscisti bombardano deliberatamente i granai e gli stessi campi, incendiandoli e obbligando spesso i contadini ucraini a compiere la mietitura per salvare il salvabile mentre le fiamme lambiscono i trattori.
A Nord di Charkìv i russi stanno poi ammassando nuove Z truppen: la 200esima e la 138esima brigata meccanizzata, la seconda brigata delle forze speciali e il 58esimo reggimento corazzato sono in corso di ricostituzione nell’oblast’ di Belgorod. Purtroppo queste forze si aggiungono a quel Terzo corpo d’armata che si sta addestrando attualmente nella base di Mulino, costruita dalla tedesca Rheinmetall in barba a tutte le sanzioni internazionali. Non si tratta di unità equipaggiate con gli standard pre-invasione ma il fondo del secchio delle riserve belliche sovietiche è spaventosamente largo e il comando russo se ne frega se l’elmetto o il fucile del suo soldato sono obsoleti quando a essere in gioco sono il destino del “russkiy mir” (il “mondo russo”) e le miserie che lo accompagnano.
Di Camillo Bosco
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