Il crepuscolo dell’impero
Fra un brindisi e un massacro, prosegue il suicidio della Russia di Putin
Il crepuscolo dell’impero
Fra un brindisi e un massacro, prosegue il suicidio della Russia di Putin
Il crepuscolo dell’impero
Fra un brindisi e un massacro, prosegue il suicidio della Russia di Putin
Fra un brindisi e un massacro, prosegue il suicidio della Russia di Putin
«Piaccia o no all’Occidente, la Russia si sta allargando!» esclama giocondo uno degli anziani presentatori dello spettacolo di fine anno della televisione russa. Le sue parole scatenano grandi risate di felicità tra il pubblico in studio, composto anche da uomini in divisa provenienti da tutta la derzhava, cioè l’unione statuaria della “Grande Russia”. Si tratta di soldati sia russki (di etnia slava, considerati “veri russi”) sia rossijanin (arruolati da Mosca ma di origini caucasiche o asiatiche, quindi russi “solo di passaporto”) che applaudono compiaciuti mostrando le medaglie conquistate nella “operazione militare speciale”. Al comando del presentatore, ballerine e danzatori realizzano coreografie tradizionali e l’orchestra intona una musica trionfale sullo sfondo di coreografie festose.
«È primavera per Hitler e la Germania!» cantavano i nazisti in una geniale commedia di Mel Brooks e, come sempre, la realtà ha superato la fantasia. L’avventura imperialistica di Putin è divenuta il brindisi con i cui i moscoviti hanno dato il benvenuto al 2023. Nell’euforia della propaganda di guerra si nota però un’omissione ragguardevole: nell’inquadratura non entravano morti e mutilati, civili uccisi e torturati, bimbi rapiti e milioni di profughi.
La serata di Capodanno era partita molto bene anche per i mobiki (soldati mobilitati) stanziati nel Donbas. Il comando militare era venuto a prenderli coi camion nelle trincee e nelle caserme, deciso a tirar su il loro morale tanto abbattuto dagli insuccessi al fronte. Schiamazzanti ed euforici, si erano dedicati a canti festaioli mentre percorrevano le vie della città di Makiïvka, sita in una continuità urbana verso Est con la città di Donec’k. I mezzi si erano poi fermati in via Čuhuïv davanti al palazzo di cemento dell’Istituto professionale per lavoratori edili n. 19, sito in una radura isolata del quartiere Kirovs’kyi. Nella grande Aula magna i soldati avevano così bevuto e ballato, abbandonandosi ai bagordi come se la guerra fosse il problema di qualcun altro.
Pochi istanti prima della mezzanotte avevano intonato all’unisono il classico conto alla rovescia «tri, dva, odin…» inconsapevoli però di star dando l’addio, oltre che all’anno passato, soprattutto alla loro vita. Un minuto dopo le Z truppen hanno infatti ricevuto degli speciali fuochi d’artificio offerti da Kyïv. Una salva di missili lanciati dai veicoli Himars ha infatti colpito il palazzo con la sua usuale precisione, scatenando un’esplosione a catena con i veicoli e le munizioni stipate nell’edificio, già utilizzato come base logistica dagli invasori.
Fonti zetiste ora parlano di centinaia di morti e feriti fra i festeggianti in armi (il conto totale oscillerebbe tra i 150 e i 600 soldati eliminati) e soprattutto sono furiose per l’ennesima prova di incompetenza del loro esercito. Un allargamento delle liste dei caduti su cui forse dovrebbero riflettere i presentatori tv russi prima di rivendicare espansioni territoriali criminali.
di Camillo Bosco
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