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La disperazione di Mosca dimezzata dall’antiaerea ucraina

La debolezza del regime siloviko si svela in una prova di forza sanguinaria. Sono state colpite indiscriminatamente – tra le tante – Leopoli, Charkìv, Odesa, Dnipro, Zaporiggia e il centro della capitale Kyïv
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La disperazione di Mosca dimezzata dall’antiaerea ucraina

La debolezza del regime siloviko si svela in una prova di forza sanguinaria. Sono state colpite indiscriminatamente – tra le tante – Leopoli, Charkìv, Odesa, Dnipro, Zaporiggia e il centro della capitale Kyïv
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La disperazione di Mosca dimezzata dall’antiaerea ucraina

La debolezza del regime siloviko si svela in una prova di forza sanguinaria. Sono state colpite indiscriminatamente – tra le tante – Leopoli, Charkìv, Odesa, Dnipro, Zaporiggia e il centro della capitale Kyïv
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La debolezza del regime siloviko si svela in una prova di forza sanguinaria. Sono state colpite indiscriminatamente – tra le tante – Leopoli, Charkìv, Odesa, Dnipro, Zaporiggia e il centro della capitale Kyïv
La rappresaglia ha avuto luogo. Così come i nazisti di Hitler colpirono gli italiani a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema per la loro resistenza, così gli zetisti del criminale Putin hanno lanciato più di ottanta ordigni sulle città ucraine e sui loro abitanti alle prese col traffico mattutino. Sono state quindi colpite indiscriminatamente – tra le tante – Leopoli, Charkìv, Odesa, Dnipro, Zaporiggia e il centro della capitale Kyïv. Con questa salva, del tutto inutile in ottica militare, il Cremlino ha cercato di dimostrare di avere ancora il polso della situazione. Soprattutto ai suoi, ancora scossi per i gravissimi danni che hanno menomato il più grande monumento all’imperialismo russo: il ponte sullo stretto di Kerč’. Il comando russo sostiene di aver usato missili ad alta precisione, ma è una sciocchezza che si perde tra le numerose a cui ci ha abituato giornalmente. In realtà si è trattato di un forsennato tiro alla cieca che ha ricordato i tempi bui del 24 febbraio, ma stavolta i bersagli erano dichiaratamente luoghi e infrastrutture civili e non militari. Tecnicamente, infatti, nessuna arma russa corrisponde agli standard occidentali delle cosiddette “bombe intelligenti”. Il celebrato missile Kalibr, cioè il missile in dotazione alle navi della flotta del Mar Nero, ha una massima accuratezza di 30 metri. Il modello Kh-101, sganciato dai bombardieri e progettato per affondare le portaerei americane, può invece mancare il bersaglio anche di 50 metri. Per il famoso Iskander, lanciato da appositi camion, si parla addirittura di 70 metri. L’unica eccezione è costituita dai droni kamikaze forniti al regime putiniano da quello iraniano, pilotabili a distanza sino al bersaglio; dalle notizie di queste settimane non pare che il sodalizio abbia tuttavia portato gran fortuna a Teheran. Mentre si registra il cinismo ruscista, è importante notare un dettaglio: circa la metà di questi ‘sofisticati’ attacchi è stato neutralizzato dalla contraerea giallazzurra, sancendo una volta per tutte l’accresciuta capacità d’intercettazione dell’esercito di Zelens’kyj, nonostante mesi di guerra intensa. D’altronde proprio questa resilienza operativa impedisce al Paese dei Girasoli di diventare una nuova Siria, cioè un territorio alla mercé dei bombardamenti dell’aviazione russa di civili e soccorritori (peraltro con episodi documentati di utilizzo di armi chimiche). «Lo scopo di questi attacchi è convincere la parte militante della società russa che dopo l’esplosione del ponte l’impotenza al Cremlino e al Ministero della Difesa non è ancora completa e definitiva», conferma il giornalista indipendente russo-uralico Dmitry Kolezev. Si tratta comunque e a tutti gli effetti di una risposta deboluccia, seppur sanguinaria, guidata quindi dalla necessità di mostrare che un regime fallito abbia ancora in sé la voglia di sopravvivere. Soprattutto ai suoi nemici interni. Come prevedibile, dell’atomica non vi è traccia se non nella retorica. I sottomarini russi navigano secondo le normali rotte e le testate tattiche rimangono ben custodite nei depositi. Tutti quelli che in Occidente al “tintinnar delle spade” nucleari hanno fatto eco con il suono di nacchere delle loro ginocchia dovrebbero senz’altro imparare dalla risolutezza del popolo ucraino che, una volta esaurito l’allarme, si è incamminato verso i bar e la sua vita usuale. Non vi è cosa più vile che chiedere la genuflessione di un popolo che vuole combattere per mantenere la propria libertà. Di Camillo Bosco

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