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La guerra immaginaria

I russi sono in Ucraina per combattere gli invasori polacchi. O almeno questa è la convinzione di un soldato russo catturato e interrogato da uno ucraino
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La guerra immaginaria

I russi sono in Ucraina per combattere gli invasori polacchi. O almeno questa è la convinzione di un soldato russo catturato e interrogato da uno ucraino
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I russi sono in Ucraina per combattere gli invasori polacchi. O almeno questa è la convinzione di un soldato russo catturato e interrogato da uno ucraino
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I russi sono in Ucraina per combattere gli invasori polacchi. O almeno questa è la convinzione di un soldato russo catturato e interrogato da uno ucraino
«Da dove vieni? Perché sei qui? Per cosa stai combattendo?» chiede l’ucraino al russo catturato. Sta girando un video per uno di quei scambi di prigionieri che ormai avvengono con regolarità tra i due belligeranti. «Sono di Beloreck, in Baschiria (repubblica autonoma russa a Nord del Kazakistan, ndr.), e sono venuto in Ucraina per combattere i polacchi che vogliono prendere le vostre terre. O almeno così avevo capito». Annamo bbene, direbbero a Roma. L’aneddotica testimonianza del baschiro non rappresenta la totalità delle Z truppen ma è certo un esempio della totale confusione che alberga tra le loro file. Possibile che nessuno dei suoi commilitoni gli abbia spiegato che è stato inviato lì per combattere il «regime nazista di Kyïv»? Neanche uno gli ha parlato dei pervicaci «satanisti Lgbtq+ che vogliono abbattere la famiglia tradizionale» annidati nel Paese dei Girasoli? Non una volta ha visto il video dove l’avvilito ministro Lavrov rievoca l’horribile visu del bagno misto per uomini e donne in Svezia? Pare di no ma, a proposito di quest’ultimo documento, forse sentire il ministro russo degli Esteri definire «inumani» i bagni misti mentre l’esercito del suo Paese bombarda tutta la rete elettrica ucraina avrebbe insinuato delle remore finanche nel più temprato zetista. Al netto della confusione degli uomini, le salve di missili del criminale Putin si sono infatti dimostrate efficaci e spietate nel tenere al buio e al freddo la popolazione invasa. Dopo la presa di Chersòn (ora persa), si tratta del primo infame successo operativo del comando militare russo dall’inizio della “operazione militare speciale”, raggiunto purtroppo anche grazie alle munizioni che ricevette nel 1990 dai bombardati stessi a seguito della firma di quel Memorandum di Budapest con cui Kyïv rinunciò al terzo arsenale atomico del mondo nonché a molte altre dotazioni militari. Questo risultato manca però di tramutarsi in una svolta sul campo per le truppe del generale “Humpty Dumpty” Surovikin, che intanto cercano di difendere il difendibile scavando trincee e deponendo “denti di drago” (ostacoli trapezoidali anticarro in cemento) di dubbia qualità, visto che i primi di questi – deposti pochi mesi fa nella zona di Belgorod – cominciano già a frantumarsi a causa delle intemperie. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI DI CRONACHE DI GUERRA Novomykhailivka, Mar’ïnka, Krasnohorivka, Avdiïvka, Kam’yanka, Novobakhmutivka, Bachmut, Soledar: questa è invece la linea calda di cittadine del Donbas su cui al momento si lancia l’avanzata russa. Una linea discontinua di circa 100 chilometri di fango e campi minati che nelle foto e nei bollettini delle perdite degli attaccanti ricorda da vicino i tempi della Prima guerra mondiale. L’oblast’ di Donec’k in mano giallazzurra resiste tuttavia tenacemente e contrattacca, impiegando anche i lanciamissili Himars. Nei giorni scorsi la massacanaglia mercenaria del gruppo Wagner di Prigožin è stata colpita duramente mentre si riposava in un albergo dotato di camere singole con idromassaggio per gli ufficiali. I razzi M30 e M31 piovuti nel cielo notturno su quella posizione non hanno fatto distinzioni di grado né di qualità dei sanitari, annichilendo buona parte dei 500 mercenari lì stanziati. I pochi sopravvissuti hanno girato dei video apocalittici del luogo dell’impatto, con le fiamme ancora vive a illuminare il disastro. Chissà se anche loro pensavano di trovare dei polacchi, da quelle parti. Di Camillo Bosco 

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