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La propaganda russa canta vittorie dalle disfatte

La propaganda russa continua a cantare vittoria nonostante, nei fatti, l’esercito sia consumato dall’assalto in Ucraina su ogni fronte. Ma nonostante le menzogne, la situazione continua a peggiorare.

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La propaganda russa canta vittorie dalle disfatte

La propaganda russa continua a cantare vittoria nonostante, nei fatti, l’esercito sia consumato dall’assalto in Ucraina su ogni fronte. Ma nonostante le menzogne, la situazione continua a peggiorare.

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La propaganda russa canta vittorie dalle disfatte

La propaganda russa continua a cantare vittoria nonostante, nei fatti, l’esercito sia consumato dall’assalto in Ucraina su ogni fronte. Ma nonostante le menzogne, la situazione continua a peggiorare.

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La propaganda russa continua a cantare vittoria nonostante, nei fatti, l’esercito sia consumato dall’assalto in Ucraina su ogni fronte. Ma nonostante le menzogne, la situazione continua a peggiorare.

Il viso bolso del criminale Putin è incassato nel costoso completo, tanto da non sembrare sostenuto da un collo. Tiene la mano destra fissa a stringere l’angolo del tavolo, mentre la sinistra giace immobile appoggiata sulle gambe. Seduto, guarda di fronte a lui il ministro della Difesa Shoigu, infartuato di recente convalescenza, e gonfiandosi gracida l’ordine: «Mariupol è ormai conquistata. Che l’acciaieria sia sigillata!».

La rana silovika non potrebbe essere più enfia. In cinquantanove giorni di guerra l’esercito russo si è consumato nell’assalto ottuso delle linee fortificate ucraine sul Donbass e di città-fortezza come Kharkiv, Sumy e la stessa Mariupol; nei campi aperti dove ha avanzato è stato poi regolarmente costretto alla ritirata dagli assalti dei reparti speciali di Kyiv alle sue linee di rifornimento. Persino il suolo russo, inviolato dal 1945, è stato colpito più volte e dolorosamente.

Nonostante queste pesanti disfatte, riconosciute persino da un ipernazionalista moscovita come Igor Girkin, il tono della propaganda non è però cambiato e anzi la peggiore mitomania imperversa nelle comunicazioni del Cremlino.

Gli oltre 2mila difensori ancora presenti a Mariupol hanno chiaramente riso della vanagloria del nemico. Gli attacchi e i bombardamenti di Mosca contro le loro postazioni infatti proseguono e l’ordine impartito a Shoigu è servito solo a poter inviare altrove (essenzialmente per rinforzare le difese di Chersòn e l’offensiva verso Izjum) alcuni dei 12 battaglioni russi impegnati in città. Ma queste poche migliaia di uomini, provati da uno dei combattimenti urbani più duri e sanguinosi dell’ultimo ventennio, difficilmente potranno essere decisive ovunque vengano schierate.

Per settimane gli attaccanti hanno d’altronde cercato a caro prezzo di avanzare negli 11 chilometri quadrati occupati dalla “Azovstal” (cioè una buona parte del territorio della città costiera), venendo contrattaccati dai combattenti del reggimento Azov e del 36° Corpo dei marine ucraini. Decine di assalti dei militari russi e dei militi delle cosiddette repubbliche separatiste sono infatti finiti in imboscate, pianificate sfruttando l’ampia rete di cunicoli e i suoi relativi boccaporti celati per tutto il perimetro, dove i soldati del Paese dei Girasoli si possono muovere con estrema libertà al riparo degli scout e delle artiglierie russe.

Persino i fanti ceceni, buoni solo per sparare a chi vuole abbandonare il fronte, hanno registrato la perdita del loro tenente colonnello Mikhail Kishchik, morto probabilmente durante la ripresa di uno di quei video propaganda che amano tanto caricare su Tiktok. Altri assalti diretti ai bunker veri e propri, secondo il vice comandante del reggimento Azov, si sono risolti poi con dozzine di morti tra le file russe senza aver guadagnato nessuna testa di ponte.

Non si sa quindi se la tattica russa possa ricordare più la batracomiomachia o la favola della volpe e l’uva, ma al netto della favolistica greca è tuttavia chiaro che l’indebolimento della forza d’occupazione di Mariupol permetterà l’attuazione di sortite ucraine. Come quella che recentemente ha messo in salvo altri 500 soldati del corpo delle guardie di confine, rimasti isolati dall’avanzata nemica ma ora di nuovo uniti ai difensori nei tunnel sotto il complesso.

  di Camillo Bosco

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