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Pavel Filatyev, il primo pentito dell’Operazione Z

La lunga confessione di un paracadutista russo illumina la miseria materiale e umana in cui si svolge l’offensiva russa.
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Pavel Filatyev, il primo pentito dell’Operazione Z

La lunga confessione di un paracadutista russo illumina la miseria materiale e umana in cui si svolge l’offensiva russa.
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Pavel Filatyev, il primo pentito dell’Operazione Z

La lunga confessione di un paracadutista russo illumina la miseria materiale e umana in cui si svolge l’offensiva russa.
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La lunga confessione di un paracadutista russo illumina la miseria materiale e umana in cui si svolge l’offensiva russa.
«È già passato un mese e mezzo da quando sono tornato dalla guerra in Ucraina. Sì, lo so che è vietato dire ‘guerra’ ma lo dirò comunque: ho trentatré anni e per tutta la mia vita ho detto solo la verità, anche a mio danno». Difficile che Pavel Filatyev abbia mai letto Carlo Michelstaedter, benché l’inizio della sua lunga confessione diaristica – di centoquaranta pagine – ricorda da vicino la “perfida sorba” del goriziano, a indicare una Verità la cui tremenda amarezza può essere lenita solo esprimendola. Filatyev ha intitolato il suo scritto “ZOV”, riferendosi in maniera ironica alla trinità dei simboli che il comando russo ha usato per contrassegnare i mezzi delle varie colonne d’invasione, ma contiene persino la sua storia familiare. Un fiume di informazioni da cui è possibile estrapolare come si viva il conflitto in partibus infidelium. «Ricordo nel 1999 quando, ancora piccolo, accompagnai mio padre in Cecenia», rammenta Pavel. «Vidi la sua brigata di paracadutisti schierata in attesa degli ordini del comandante». Cinquecento uomini in fila per reprimere la secessione della «autoproclamata repubblica cecena di Ichkeria», in una situazione che gli ricorda da vicino i motivi della “operazione militare speciale”, ma specchiati. Prosegue infatti a snocciolare, senza riserve, le contraddizioni della propaganda con cui si vuole giustificare l’Operazione Z. «In che modo l’Ucraina minacciava la Russia?» si chiede il reduce. «Aderendo alla Nato? Non per questo abbiamo attaccato i nostri vicini baltici o stiamo impedendo ora alla Finlandia di farlo. Persino la Turchia ha abbattuto un nostro aereo senza ripercussioni». Anche le storie riguardanti fantomatici “ukronazi” gli paiono lunari, dato che non ha mai riscontrato storie di razzismo verso i moscoviti o la loro lingua prima del conflitto. Esclude poi, senza appello, la possibilità di un attacco del Paese dei Girasoli alla Madrepatria russa visto lo stato delle forze armate ucraine prima dell’aggressione. «Alcuni dicono allora che è stato fatto per salvare i separatisti del Donbas, ma quello è un territorio che appartiene legalmente a un altro stato. Allora dovremmo rispettare la Carelia se volesse unirsi alla Finlandia, l’oblastdi Smolensk alla Lituania o quello di Rostov all’Ucraina stessa? Se abbiamo impedito l’indipendenza della Cecenia al costo di migliaia di vite, perché ora attentiamo all’integrità territoriale di un nostro vicino?». LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “CRONACHE DI GUERRA” Quando il 24 febbraio fu dato l’ordine di mobilitarsi alla 56esima brigata d’assalto aviotrasportata di cui faceva parte, Pavel in effetti non capì davvero cosa stava succedendo. Per lui, ex addestratore di cavalli a cui il Covid ha impedito di tentare fortuna all’estero, la telnyashka (la maglietta bianca a righe blu tipica dei paracadutisti) non era solo l’ultima ridotta per non morire di fame, bensì il simbolo d’appartenenza a qualcosa di più grande. «Se ci mandano al fronte probabilmente gli ucraini sono già a Rostov, e gli americani sono sbarcati in Kamčatka!», si dicevano tra di loro – e senza ironia – i commilitoni. Due mesi dopo, quando è portato in un ospedale militare crimeo per una brutta cheratocongiuntivite contratta in trincea, ottenne però un quadro più chiaro della situazione. La malattia piuttosto che renderlo cieco gli donò una profonda chiarezza su quanto stesse accadendo. «Sono consapevole, ora, che non vi è nessuna guerra sul territorio russo e che siamo noi che invece abbiamo attaccato l’Ucraina», dichiara con risolutezza. E aggiunge: «Farò tutto quello che posso per fermare tutto questo». Sperando che sia il primo di tanti. Di Camillo Bosco

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