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Proteste russe al profumo di fiori

Mentre i moscoviti lo dicono con i fiori Prigožin si preoccupa dei fianchi di Bachmut
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Proteste russe al profumo di fiori

Mentre i moscoviti lo dicono con i fiori Prigožin si preoccupa dei fianchi di Bachmut
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Proteste russe al profumo di fiori

Mentre i moscoviti lo dicono con i fiori Prigožin si preoccupa dei fianchi di Bachmut
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Mentre i moscoviti lo dicono con i fiori Prigožin si preoccupa dei fianchi di Bachmut
Cinque funerali. Una corona di fiori, di quelle da lutto, è apparsa ieri davanti all’ufficio del procuratore generale della Federazione Russa. Un’altra è stata trovata davanti al portone della Commissione investigativa del Paese. Una terza è stata lasciata davanti all’ufficio presidenziale e la quarta a fianco dell’ingresso dell’ufficio della commissaria russa per i diritti umani. L’ultima, la quinta, è stata invece deposta all’ingresso della Duma (il Parlamento russo). Non si tratta però del risultato di una sequela di attentati, bensì di una vistosa protesta contro il regime putiniano. I nastri sulle meste composizioni floreali recitano infatti nell’ordine: «Qui è dove è sepolta la legge», «Qui è dove è sepolta la verità», «Qui sono sepolti il Paese e il popolo», «Qui è dove sono sepolti i diritti umani», «Qui è dove è sepolta la libertà del popolo». I poliziotti moscoviti, solerti nel reprimere il dissenso, hanno subito arrestato due donne che hanno rivendicato il gesto ripetendo con un urlo «Qui è sepolta la legge!». Quando Patrick O’Keefe (un pubblicitario di Boston) e Henry Penn (un ex presidente della Società dei fioristi americani) s’inventarono nel 1917 il celebre slogan «Ditelo coi fiori!» non avevano certo in mente di far procedere su una strada tanto petalosa anche le critiche ai sistemi dittatoriali. Non si tratta però né della prima volta nella storia – esempi famosi sono la Campagna dei cento fiori in Cina nel 1956 o la Rivoluzione dei garofani in Portogallo nel 1974 – né della prima volta per i russi stessi. Semplici cittadini di Mosca e di altre città hanno infatti già usato il linguaggio dei fiori per esprimere vergogna riguardo le imprese criminali del loro governo, deponendo dozzine di rose recise ai piedi di statue significative, come quella a San Pietroburgo del vate ucraino Taras Hryhorovyč Ševčenko. In quel caso si trattava di un omaggio alle vittime dei bombardamenti russi su Dnipro, rimosso subito dai servizi di sicurezza. Per un’azione simile Alipat Sultanbegova, una cittadina di Krasnodar, ha dovuto abbandonare la Russia proprio in questi giorni dopo aver saputo dell’avvio di un’indagine a suo carico «per discredito delle Forze armate russe», che forse preferivano orchidee più delicate. Sarebbe stato ancora più efficace l’uso dei girasoli, ma di questi fiori l’esercito russo ne osserva già molti da vicino e circa 200mila di loro ne ammirano persino le radici, secondo le cifre diffuse da Kyïv. Sebbene la partigianeria della fonte consigli cautela nella valutazione del conteggio, ormai su Internet è più facile trovare un video di droni ucraini che sganciano granate sulle Z truppen che un porno di Brazzers o uno dei tanti filmati in cui Evgenij Prigožin si lamenta di qualcosa. Date per scontate le lamentele sulle munizioni, quest’ultimo ha preso ora a lamentarsi (con cognizione) dei fianchi che cedono sotto la pressione dei contrattacchi ucraini. Se la cittadella di Bachmut è quasi del tutto caduta e in mano ucraina rimane soltanto la zona fra via Giubileo e via Čajkovskij, l’armata russa sta comunque ripiegando a Sud e a Nord della città e questo potrebbe vanificare la presa delle rovine della fortezza giallazzurra dopo ben nove mesi di combattimenti. di Camillo Bosco

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