Vladimir Putin come Crono di tutte le Russie
«Vladimir Vladimirovič, grazie per scannare i cannibali!». A parlare è la propagandista televisiva russa Margarita Simonovna Simon’jan, appena insignita dell’onorificenza orden Pachyota – “l’ordine dell’Onore” della Federazione Russa – dallo stesso criminale Putin tra le sicure mura del Cremlino di Mosca.
«Ce l’avevi promesso una ventina di anni fa, usando proprio questo indimenticabile verbo. A quel tempo non hai permesso loro di strappare via il Caucaso (la seconda guerra cecena, ndr.) e non permettesti l’eruzione dei sanguinosi massacri etnici che incombevano sul nostro Kuban’, oltre che sulla Cecenia e il Daghestan. Grazie per non aver permesso a un cannibale folle (il presidente georgiano Mikheil Saak’ashvili, ndr.) di divorare l’Avogassia, l’Ossezia e gli osseti nel 2008. Grazie per aver fermato il massacro nel Karabakh (la guerra azero-armena, ndr.) un paio di anni fa». La Simon’jan non si limita così a una classica sviolinata di ringraziamento post premio: approfitta dell’occasione e delle telecamere per recitare ai sudditi in ascolto il curriculum del loro odierno zar.
Il motivo di tale elenco è presto detto. «Oggi, vedendo quello che accade a Donec’k, mi è impossibile non essere preoccupata. Grazie per aver salvato, anche se con sangue e dolore, il nostro popolo dalle fauci sanguinanti di questi cannibali. Dal canto nostro ti aiuteremo a scannarli per tutto il tempo che tu ce lo chiederai. Io servo la Russia. Grazie». L’applauso della piccola folla presente è immediato e conferma la disponibilità manifestata dalla Simonyan, se qualcuno avesse ancora dubbi. D’altronde sin dal funerale di Dugina, la figlia del suprematista russo Dugin assassinata in circostanze ancora non chiarite, il membro della Duma Leonid Eduardovich Sluckij già salmodiava al microfono «Un Paese, un presidente, una vittoria!» (facendo eco al motto hitleriano “Ein Volk, ein Reich, ein Führer”).
La rivendicazione di identità totale col leader non è certo inedita. Forse lo è invece la necessità di ricordare ai russi perché il loro presidente abbia scatenato una guerra con un vicino, come già tante altre nel passato. Nel giorno in cui gli ucraini annunciano il centomillesimo membro delle Z truppen ucciso nella “operazione militare speciale”, agli abitanti del Russkij Mir viene paventato un futuro di disgregazione e irrilevanza se perderanno la fiducia nel loro sovrano o, peggio, se decideranno di ribellarsi.
Il dato positivo è che l’evoluzione della tassonomia degli insulti – che ha tacciato gli ucraini dapprima di essere nazisti, poi satanisti e ora infine cannibali – si avvicina sempre più alla confessione, da parte del regime di Mosca, di come questa sia una guerra per evitare che un’entità percepita come vassalla diventi protagonista del suo destino. Un tentativo smentito ogni giorno di più dall’esercito di Zelens’kyj che ieri contrattaccava nel Donbas con una vigorosa offensiva di carri armati ed elicotteri, scacciando quasi del tutto i tagliagole della Wagner dalla città di Bachmut. “Quasi” perché, come tengono a ricordare i fascisti russi su Twitter, gli uomini di Prigožin ne controllano ancora una strada, sita ai confini e intitolata allo studioso Fedor Maksymenko. Dopo quella, la campagna. Centomila morti per finire a contendersi una via della periferia di Bachmut. Alla faccia del cannibalismo.
Di Camillo Bosco
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