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ucraini decapitati

I russi vogliono mostrare gli ucraini decapitati

Sono i russi a voler diffondere le immagini che ritraggono la decapitazione degli ucraini. Lo scopo? Intimidire i propri soldati: chi si arrende potrebbe fare la stessa fine
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I russi vogliono mostrare gli ucraini decapitati

Sono i russi a voler diffondere le immagini che ritraggono la decapitazione degli ucraini. Lo scopo? Intimidire i propri soldati: chi si arrende potrebbe fare la stessa fine
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I russi vogliono mostrare gli ucraini decapitati

Sono i russi a voler diffondere le immagini che ritraggono la decapitazione degli ucraini. Lo scopo? Intimidire i propri soldati: chi si arrende potrebbe fare la stessa fine
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Sono i russi a voler diffondere le immagini che ritraggono la decapitazione degli ucraini. Lo scopo? Intimidire i propri soldati: chi si arrende potrebbe fare la stessa fine
Zytomyr – «Troveremo questi disumani. Se necessario li cercheremo anche sottoterra o nell’altro mondo». Vasyl Malyuk (capo dei servizi di sicurezza ucraini) commenta così il macabro video messo in rete ieri dai russi sui loro canali social in cui un prigioniero di guerra ucraino viene prima torturato e poi malamente decapitato con la lama d’un coltello. «È assurdo che la Russia, che è peggio dell’Isis, presieda il Consiglio di sicurezza dell’Onu». Il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba – già depositario presso le Nazioni Unite del contenzioso legato al diritto di veto acquisito in tale sede dall’Urss ma ‘ereditato’ soltanto da Mosca – ha pubblicamente chiesto che i terroristi russi vengano espulsi non solo da quel contesto ma dall’intera organizzazione. «A differenza loro, noi onoriamo la Convenzione di Ginevra» aggiunge Andriy Yusov, portavoce dell’intelligence militare ucraina, rimarcando che lo scopo della diffusione pubblica di tali atrocità sia in realtà da parte russa quello d’intimidire i loro stessi combattenti, esortandoli a non arrendersi (come invece fanno in numero sempre crescente) per timore che ai traditori venga riservato il medesimo brutale trattamento. Solo nel mese di marzo più di tremila militari russi si sono infatti rivolti al progetto ucraino «хочу жить» (“Voglio vivere”) promosso sui media da Kyiv per fornire supporto ai militari russi che non vogliano rendersi vittime conniventi di quell’inutile massacro a cui sono stati chiamati da Putin. Nello stesso mese più di 100 prigionieri di guerra russi sono stati restituiti unilateralmente da Kyiv alle proprie famiglie, affinché possano testimoniare in patria l’inutilità della folle campagna lanciata da Putin e le condizioni riservate a coloro che smettono di prenderne parte. LEGGI TUTTI GLI ARTICOLI “CRONACHE DI GUERRA” I russi non sono certo nuovi a questo tipo di macabra propaganda: un video simile, ripescato ieri da alcune testate giornalistiche estere, già l’anno scorso mostrava – presumibilmente nei dintorni di Irpen – un altro soldato ucraino barbaramente decapitato e a cui prima erano state mozzate entrambe le mani. I criminali assoldati nella Wagner Pmc da Prihozin hanno più volte (anche recentemente) pubblicato video di teste mozzate a prigionieri ucraini e poi infilzate su picche poste dinnanzi alle case dei civili, così come di mani amputate e poi inchiodate a recinzioni e steccati. Per non parlare dei video delle castrazioni dei prigionieri di guerra, di cui abbiamo già scritto su queste pagine. A rendere ancor più inumani e criminali questi atti atroci perpetrati sul campo è l’abominio della loro diffusione sui social network. Esibire quelle teste mozzate di fronte a centinaia di migliaia di follower è l’elevamento a potenza del gesto peggio che bestiale di chi materialmente le solleva con la mano dopo averle tagliate. Certi canali Telegram russi, in questo, non sono davvero da meno di quelli usati dall’Isis. Le migliaia di pollice recto riservati a quelle immagini terrificanti dalla platea del Grand Guignol che popola i social russi rivelano pulsioni opposte a quelle che ispiravano il gesto con cui veniva graziato un gladiatore sconfitto e soprattutto quanto la cultura dell’odio sia coltivata nell’odierna società russa. Di Giorgio Provinciali

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